Sudan, tregua di 24 ore ma a Khartoum si spara ancora
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Era stato accettato da entrambe le parti in lotta - l’esercito sudanese il cui capo è di fatto il presidente del Sudan, generale Abdel Fattah al-Burhan, e i paramilitari delle Forze armate di supporto rapido (Rsf) guidate da Mohamed Hamdan Dagalo detto ‘Hemedti’ - il cessate il fuoco proclamato alle 18 di ieri pomeriggio dopo l’accorato appello dell’Unione Europea e di altri 14 Paesi attraverso le loro ambasciate a Khartoum, ma non è stato rispettato. La tregua di 24 ore aveva seguito la tregua umanitaria, anch’essa di 24 ore, e anch’essa non rispettata.
La grande fuga da Khartoum
Nella capitale Khartoum la situazione è sempre più drammatica: la popolazione civile, che finora conta 270 vittime, a cui va aggiunto un imprecisato numero di vittime militari, manca di tutto: carburante, acqua, cibo e medicine. Intanto un ospedale su tre risulta chiuso e mentre è iniziato l’esodo dei civili, si sta approntando anche un piano di evacuazione per i cittadini stranieri presenti. Ma non mancano, tra i protagonisti della fuga, anche i militari: il Ministero della Difesa del vicino Ciad riferiscono che nel Paese sarebbero arrivati 320 militari sudanesi provenienti da entrambe le parti in lotta, tutti disarmati e detenuti dalle autorità locali.
Liberi i prigionieri egiziani
Intanto sono stati liberati tutti i militari egiziani bloccati dai miliziani sudanesi a Khartoum, da cui sono potuti rientrare in Egitto. Lo riferisce il sito di Sky News Arabia citando Youssef Ezzat, consigliere politico del comandante delle stesse Forze di supporto rapido, Mohamed Hamdan Dagalo. “Gli egiziani sono stati trattati con dignità, non sono prigionieri e lo abbiamo comunicato alle autorità egiziane”, ha detto.
I mercenari di Wagner negano il proprio coinvolgimento nel Paese
Attraverso Telegram, i mercenari di Wagner negano il proprio coinvolgimento negli scontri che da qualche giorno stanno insanguinando il Sudan: "Non siamo in Sudan da più di due anni. Non abbiamo mantenuto alcun contatto né con Mohamed Hamdan Dagalo né con Fattah al-Burhan da molto tempo, né abbiamo interessi finanziari in Sudan – scrive il capo Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo Wagner - questo conflitto è un affare sudanese puramente interno e qualsiasi tentativo da parte di media, uffici di rappresentanza di Stati stranieri e altri attori di coinvolgere Wagner o Prigozhin non è altro che un tentativo di pescare in acque agitate o difendere una delle parti per manipolare i fatti".
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