Sudan, rotta la tregua. Un missionario: la situazione non migliora
Marco Guerra – Città del Vaticano
Nella mattina di venerdì un annuncio del Comando generale delle Forze armate sudanesi, così come informazioni dei media, confermano che è stato violato anche il quinto cessate il fuoco tra le parti che dal 15 aprile si combattono per il controllo del Sudan. Giovedì scorso l’esercito governativo e le forze paramilitari sudanesi di supporto rapido, avevano accettato di prolungare di altri tre giorni la tregua che è in vigore ufficialmente da lunedì e che sarebbe scaduta la scorsa mezzanotte.
Ancora violenze sul terreno, colpito aereo turco
Forti esplosioni e colpi di arma da fuoco hanno scosso la capitale Khartoum e la sua città gemella di Omdurman nelle prime ore di venerdì, riferiscono i residenti. L’esercito parla invece di un attacco fallito delle forze ribelli “contro le forze nell'area di Jabal Awliya", un villaggio nella parte centro-settentrionale del Sudan, a circa 40 km a sud della capitale Khartoum. I soldati "sono riusciti a respingere l'attacco, a infliggere pesanti perdite" ai paramilitari e "a distruggere un certo numero di veicoli". Sempre nella mattina di venerdì, un aereo militare della Turchia partito per l'evacuazione di cittadini turchi è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco poco fuori la capitale Khartoum. Lo afferma il ministero della Difesa turco, specificando che non ci sono stati feriti. Il giorno prima, il 13esimo dall’inizio delle ostilità, la Bbc riferiva di scontri scoppiati a Khartoum, vicino agli edifici della TV e della radio e di spari anche nella turbolenta regione del Darfur. Il cessate il fuoco non ha quindi fermato i diversi focolai di combattimento, ma ha creato comunque le condizioni per consentire a decine di migliaia di sudanesi di fuggire in aree più sicure, così come alle nazioni straniere di evacuare centinaia di loro cittadini via terra e via mare. Che la situazione resti fuori controllo è testimoniato dal fatto che il governo americano ha esortato i cittadini statunitensi a lasciare il Paese entro 48 ore, affermando che le condizioni di sicurezza potrebbero peggiorare da un momento all’altro.
L’allarme dell’Unicef
Le violenze iniziate lo scorso 15 aprile fra l'esercito del generale al-Burhane e i paramilitari di Mohamed Daglo, detto "Hemedti", hanno già provocato oltre 500 morti e migliaia di feriti. Non c’è carburante e mancano medici mentre l’Unicef è tornato a lanciare l’allarme sulla protezione per i bambini. Dall'inizio dei combattimenti sono già stati uccisi almeno 9 bambini e feriti altri 50. Le ostilità stanno causando sfollamenti ed esponendo ulteriormente i bambini a potenziali rischi, tra cui il reclutamento da parte delle forze armate e la violenza sessuale.
Il missionario italiano: la situazione non migliora
Una drammatica fotografia della situazione è stata offerta a Vatican News da un missionario italiano in Sudan che, per ragioni di sicurezza, chiede di rimanere nell'anonimato. Il religioso conferma che “purtroppo la situazione a Khartoum non sembra migliorare”, nel senso che mentre “nei primi giorni gli scontri erano concentrati nella capitale, ora si sono spostati anche a Omdurman” che è la città gemella di Khartoum, sull’altra riva del Nilo. “L’impressione è che lo scontro tra esercito e paramilitari andrà ancora vanti”, aggiunge il missionario, “in Darfur ci sono scontri molto forti, le città di Geneina e Nyala, da quello che si sente, sono a ferro a e fuoco”.
Esodo degli sfollati verso il confine
Il religioso afferma poi che le altre città registrano scontri meno forti e sporadici, ma che "però stanno pagando il flusso di parsone che si stanno spostando”, riferisce quindi che “c’è un forte esodo verso i confini per attraversarli, verso il Ciad, il Sud Sudan, L’Etiopia e l’Eritrea”. “Per la prima volta in decenni – evidenzia ancora - ci sono eritrei che cercano di tornare nel loro Paese d’origine”. Il missionario racconta inoltre che molte persone cercano di prendere un traghetto da Port Sudan per evacuare a Gedda, in Arabia Saudita. “Da Port Sudan sono stati evacuati miglia di stranieri soprattutto asiatici, filippini, indiani”. Secondo il religioso, al confine con l’Egitto si sta creando una situazione particolarmente “pesante”, con persone che aspettano giorni per attraversare il confine e con le autorità egiziane che non fanno passare nessuno, se non pochissime persone, in prevalenza cittadini egiziani.
Le condizioni dei cristiani
Infine, il missionario si sofferma sulla situazione dei cristiani, la maggior parte dei quali stanno fuggendo verso il Sud Sudan, “visto che i cristiani in Sudan, per la maggioranza, sono rifugiati sud sudanesi”. “Per quanto riguarda invece il personale ecclesiastico, va detto che si è mosso in ritardo – spiega ancora il religioso - nel senso che all’inizio tutti speravano che le violenze durassero pochi giorni, ma ora tutti si trovano a riconsiderare questa valutazione”. Ora, molti religiosi stanno cercando di lasciare il Sudan ma non ci riescono, “anche perché molti missionari e missionarie non provengono dai Paesi europei con possibilità diplomatiche e logistiche, ma vengono da Stati africani, asiatici e sudamericani”.
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