L’Africa MEDIAta, raccontare il continente oltre gli stereotipi
Beatrice D'Ascenzi – Città del Vaticano
Gli aspetti più virtuosi e innovativi dell’Africa sono sottorappresentati nei media italiani, che troppo spesso preferiscono utilizzare narrazioni bastate su luoghi comuni e falsi miti. È quanto emerge dalla quarta edizione de L'Africa MEDIAta, il rapporto presentato alla stampa da Amref Health Africa-Italia in occasione dell’Africa Day. Curato dall’Osservatorio di Pavia, il dossier – presentato alla stampa a Roma, presso il Binario F - ha l’obiettivo di analizzare come e quanto i media italiani raccontino l’Africa. “È importante dare una narrazione corretta” ha raccontato Paola Crestani, Presidente di Amref Health Africa in Italia a Vatican News, “il nostro sguardo è pieno di pregiudizi che purtroppo derivano da secoli di cultura discriminatoria e anche chi di noi pensa di non avere questa visione, in realtà ne è comunque immerso”.
La marginalità della comunicazione sull’Africa
Amref è da sempre molto attiva nel territorio africano attraverso programmi che si occupano di salute, che puntano a rafforzare la gioventù e a incentivare l’empowerment femminile. Attraverso il suo report annuale, tenta di invertire la tendenza legata al racconto che i media mainstream compiono. “Spesso si dà un’immagine dell'Africa legata solo all’ emergenza e alla povertà- continua a spiegare Crestani- Queste sono sicuramente realtà presenti ma ci sono anche degli aspetti di innovazione, di caparbietà, di risorse e di grandi potenzialità nel continente”. A questo proposito, il report mostra chiaramente come, anche nei programmi di intrattenimento, l’Africa sia rappresentata come una sola realtà, priva di specificità e caratterizzata uniformemente da un futuro senza speranza. “Il nostro obiettivo è scardinare questa cultura stereotipata. L’emergenza e la povertà sono sicuramente realtà presenti ma ci sono anche degli aspetti di innovazione, di caparbietà, di risorse e di grandi potenzialità del continente”.
Il ruolo dei media
Paola Barretta, ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia sottolinea inoltre come si stia accentuando sempre più una tendenza osservata a partire dal 2020: la riduzione progressiva di notizie sull’Africa: “Nel corso di questi anni abbiamo rilevato come vi siano alcuni aspetti legati a questo continente, che rimangono sostanzialmente ai margini dell'informazione mainstream, in particolare quando parliamo di storie che si legano all'innovazione e alla ricerca scientifica e tecnologica che fanno parte dell’esperienza africana.” I dati mostrano come nel corso del 2022, l’Africa è apparsa in 953 notizie nelle prime pagine di sei testate, ovvero in media 13 volte al mese (-3 rispetto al 2021). Per l’84% le notizie raccontano fatti ambientati in Italia o in altri Paesi occidentali e nello specifico trattano temi legati alla sicurezza e ai flussi migratori (69,1%). Il restante 16,2% di notizie ambientate in Africa si focalizzano maggiormente su guerra e terrorismo (36,4%), non dando spazio ad esempi positivi come il fiorente sviluppo della produzione di startup tecnologiche o le risposte pensate e per la gestione del cambiamento climatico, che fanno parte dell’esperienza africana.
La necessità di cambiamento
La tendenza non sembra migliorare neanche guardando ai notiziari del prime time e programmi di infotainment. Infatti, nei Tg analizzati sono state rilevate soltanto 1.174 notizie pertinenti (22% in meno rispetto al 2021), di cui il 74% riguardante i flussi migratori e la gestione dell’accoglienza. “Siamo partiti da un dato che è peggiorato ulteriormente rispetto agli anni precedenti- spiega ancora Barretta- ovvero la progressiva assenza dei Paesi africani dal contesto mediatico. Si parla di una notizia ogni due mesi sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali e si riscontra il 2% di attenzione al contesto africano nei telegiornali di prima serata”. In termini numerici questo corrisponde alla media di un'ora di programmazione ogni 87, per quanto riguarda le informazioni e l'intrattenimento. “C'è bisogno di parlare di più di Africa- conclude la ricercatrice- soprattutto non legandola sempre ai flussi migratori e ad una cornice legata all'insicurezza e non all'opportunità.”
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