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Quest'anno, il 27 maggio, ricorrono i cento anni della nascita di don Milani, il priore di Barbiana Quest'anno, il 27 maggio, ricorrono i cento anni della nascita di don Milani, il priore di Barbiana 

Don Milani, maestro e profeta di una scuola dell'inclusione culturale e sociale

Oggi 27 maggio ricorrono i 100 anni dalla nascita del priore di Barbiana. "Lettera a una professoressa" è forse l'opera più nota del sacerdote fiorentino: denunciava una scuola che condannava i figli dei poveri al silenzio, privandoli degli strumenti con cui potersi esprimere. Se la società dei suoi tempi non c'è più, ancora oggi la scuola in Italia registra alti tassi di abbandono e forme di disagio, ma è essenziale, sostiene Lauro Seriacopi, vice presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani

Adriana Masotti - Città del Vaticano

"Don Lorenzo Milani nella sua esperienza di educatore ripeteva quelle parole bellissime, “I care. Mi interessa, mi sta a cuore…”. Lo scrive Papa Francesco nella prefazione al libro della giornalista portoghese Aura Miguel “Un lungo cammino verso Lisbona” che racconta il cammino delle Giornate mondiali della gioventù. Francesco prosegue parlando della pandemia e della guerra in cui il mondo è velocemente precipitato. Si domanda quindi come tutto ciò interroghi i giovani. La risposta è proprio in quell'avere a cuore ciò che accade intorno con tutte le sue sofferenze. I care è la scritta che don Lorenzo Milani aveva voluto campeggiasse a Barbiana, scritta su una parete della scuola, come insegnamento ai suoi ragazzi in contrapposizione a quel "me ne frego" che era stato il motto del fascismo. 

Essenziale anche oggi l'educazione

Lettera a una professoressa, che descrive l'esperienza della scuola di Barbiana, piccola località non distante da Firenze, è probabilmente l'opera di don Milani più conosciuta. Scritta a più mani insieme ai suoi ragazzi, venne pubblicata nel maggio del 1967, un mese prima della sua morte. Del priore quest'anno ricorre il Centenario della nascita, il 27 maggio 1923 e l'anniversario è una buona occasione per ricordare la figura del sacerdote fiorentino, ma, come desidera chi lo ha conosciuto e amato, soprattutto per conoscere di più e riflettere su quell'esperienza e per trarne indicazioni per come parlare e insegnare ai giovani di oggi. Papa Francesco ha ben presente che “le due grandi sfide del nostro tempo: la sfida della fraternità e la sfida della cura della casa comune”, e conclude che “non possono trovare risposta se non attraverso l’educazione”. Parlando del lavoro educativo, Francesco disse una volta che "è un grande dono prima di tutto per chi lo compie: è un lavoro che chiede molto, ma che dà molto! La relazione costante con gli educatori, con i genitori, e specialmente con i ragazzi e i giovani è una fonte sempre viva di umanità, pur con tutte le fatiche e le problematiche che comporta”.

Il problema della scuola sono i ragazzi che perde

In Lettera a una professoressa, don Lorenzo sottolineava con forza il ruolo fondamentale che l'istruzione ha per la piena umanizzazione e per l'emancipazione dalla povertà e dallo sfruttamento. Precisava sempre: "Il mio classismo è sempre un classismo di cultura. Io chiamo proletari quelli che non hanno istruzione. Faccio soltanto questa questione: di chi non sa usare la parola, non sa intender non sa spiegarsi". Per lui l'allora scuola dell'obbligo era "un ospedale che cura i sani e respinge i malati", o ancora, di fronte ai ragazzi abbandonati dalle istituzioni scolastiche ad un destino di marginalità commentava: "Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo...". D'altra parte non era affatto permissivo con i suoi ragazzi a cui faceva scuola anche il sabato e la domenica, e ai genitori raccomandava: "Non ne hanno voglia? fateli studiare per forza. (...) C'è dei figlioli carogne che non vogliono mangiare e voi li forzate. Altrettanto fate per lo studio". 

Seriacopi: base dell'educazione è l'amore non la tecnica

Lauro Seriacopi, da qualche anno in pensione, è stato docente di Filosofia e Storia in un liceo di Firenze, è vice presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani e responsabile del Gruppo scuola della Fondazione. Ricorda di aver letto per la prima volta Lettera a una professoressa nel 1968. Quella lettura è stata una rivelazione in grado di influire sulle sue scelte nella professione e nella vita al cui centro hanno sempre trovato posto i più poveri e gli emarginati. Con lui ripercorriamo alcuni aspetti dell'esperienza di don Milani sacerdote e, in virtù di questo, maestro per 13 anni nel piccolo borgo toscano:

Ascolta l'intervista a Lauro Seriacopi

Lauro Seriacopi, quando uscì Lettera a una professoressa fece scalpore: era una denuncia forte del sistema scolastico dell'epoca. La società oggi è cambiata, eppure quel testo è ancora attualissimo. Per don Lorenzo la povertà, quella che lo interessava davvero, era la povertà di cultura. È questa che fa soprattutto la differenza. È così?

Sì, questo resta il punto di riferimento. Don Milani aveva delle certezze, certezze, ovviamente, nella sua fede cristiana interpretata come attenzione e accoglienza degli ultimi. Però, ancor prima di fare un’azione di evangelizzazione, bisognava mettere in condizione i giovani, e le persone in generale, di capire l’annuncio dando loro gli strumenti di comprensione della parola. Ecco perché lo strumento principe che don Milani individuò fu fare scuola, scuola, scuola. E’ straordinario pensare come don Milani abbia scandito il suo tempo nell'esistenza umana prevalentemente con il fare scuola. Ma perché? Perché scuola è acquisizione della cultura, una cultura ampia, luogo dove si impara ad imparare ma si affinano anche tutte quelle capacità e competenze che ci aiutano a lavorare insieme agli altri, a comunicare con gli altri. E quindi la scuola della parola, lui diceva: ogni parola che non conosci è una pedata in più che la società ti darà. Allora, se vuoi essere al pari del padrone, se vuoi interloquire con chi è più importante, più in alto di te, devi possedere questo bagaglio della parola. Ora, questo tema è stravolgente perché, ahimè, di grande attualità. Oggi i nostri ragazzi non hanno le parole e quindi non riescono a cogliere in se stessi quei giacimenti culturali che loro posseggono, perché ogni ragazzo, ogni persona, è una miniera inesplorata, solo che di fatto bisogna tirarla fuori. Ecco, la scuola, quella di Socrate, quella di Milani, la scuola maieutica e generativa. Oggi i ragazzi non riescono più a comunicare, tra di loro c'è un senso di solitudine, di povertà comunicativa. Allora bisogna rilanciare questa idea.

La mancanza di parola la si vede oggi, ad esempio, nel modo di rapportarsi di molti sui social, perché mancanza di parola è anche mancanza di conoscenza degli strumenti, per cui poi viene fuori aggressività, incomprensione di quello che dice l’altro, ostilità...

Certo, don Milani percepisce per primo che la mancanza della parola significa anche la mancanza degli strumenti che servono a trasmettere, a esteriorizzare la parola. Lui utilizzò tutti i mezzi di comunicazione, dal cinema, alla musica, all'arte. Don Lorenzo voleva che i ragazzi si aprissero al mondo.

Li mandava all'estero, voleva che imparassero le lingue. È interessante questo quando oggi si tende, a volte, a contrapporre la propria lingua, la propria cultura alle altre. Come si sarebbe posto don Milani di fronte al fenomeno del multiculturalismo attuale?

Io penso che don Milani non avrebbe stigmatizzato le differenze, le avrebbe riconosciute e avrebbe considerato le differenze come culture altre, ma culture di un mondo che è fatto da tante realtà diverse. L'acquisizione di queste culture, di queste lingue, l'acquisizione delle diverse religioni diventa un patrimonio di arricchimento di tutti. Allora le classi dove oggi abbiamo il 70/80 per 100 di ragazzi che provengono da culture diverse, bisogna considerarle non classi a rischio ma come un enorme potenziale esplosivo, positivamente esplosivo, purché ci sappiamo lavorare.

Un laboratorio d'arte alla scuola di Barbiana (dall'Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)
Un laboratorio d'arte alla scuola di Barbiana (dall'Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

C'è una frase che compare su una parete nella scuola di Barbiana “I care” che è un vero programma di vita e Papa Francesco ne parla spesso: mi riguarda, mi interessa…

Lei tocca un tasto per me molto importante, è uno dei simboli più potenti di Barbiana che io collego con un altro simbolo, un oggetto che c’era in quell'aula: l'astrolabio. Era fatto dai ragazzi, così come tutti i sussidi didattici erano prodotti dalle loro mani - perché si pensa anche con le mani oltre che con la mente -, e c’è scritto “Osservatorio astronomico di Barbiana”, posto all’altitudine X e longitudine X. Pensi i ragazzi che senso di autostima avevano... E poi loro colgono che Barbiana è, all'interno di un cosmo infinito, un puntino piccino, piccino, ma c'è. Ogni volta che lo spiego ai ragazzi che visitano Barbiana dico loro: guardate, a me viene in mente il film di Fellini La strada, quando ad un certo punto, Gelsomina prende dei sassolini, se li fa ballare tra le mani e domanda a che cosa servono. Zampanò risponde: “Non lo so, ma so che esistono e se esistono una funzione devono averla”. Ecco, il percepire che noi esistiamo, esistiamo come io, come tu e come noi nel mondo, in un cosmo infinito, significa percepirci esistenti come anelli di una catena. E se un anello è debole, è debole tutta la catena. Da qui l'etica della responsabilità, l' I care, mi sta a cuore, mi prendo cura, mi faccio carico, perché il mondo in cui sono io e sono gli altri è lo stesso nostro mondo. Ci si salva tutti o non si salva nessuno. Ecco la grande responsabilità che è la responsabilità politica, e questa si impara attraverso quegli ambienti che, secondo i nostri principi costituzionali, sono finalizzati alla scuola. E se io sono responsabile di fronte ai problemi del mondo, io non mi posso girare dall'altra parte. E a questo ci richiama tutti i giorni Papa Francesco: di fronte alle sofferenze degli ultimi, di tutte le Barbiane del mondo che noi conosciamo, spesso l'atteggiamento è quello di girarsi di lato perché soffriamo troppo, perché non vogliamo concepire che queste sofferenze degli altri sono causa anche del nostro benessere.

Un'immagine della scuola di Barbiana (dall'Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)
Un'immagine della scuola di Barbiana (dall'Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

Tornando alla scuola, a Barbiana nell’insegnamento si andava al passo dell'ultimo ragazzo, ma questa cosa non è facilmente accettata. Si parla spesso di meritocrazia. Lei che ne pensa? Che ne pensava don Milani della meritocrazia?

Quando è uscita la nuova definizione del Ministero dell’Istruzione, noi abbiamo messo sul nostro sito, una riflessione molto pacata, molto serena. Certo, una scuola deve in qualche modo valorizzare i meritevoli, cioè riconoscere l'ampiezza dei talenti di ciascuno. È compito sicuramente della scuola, ma per far questo c'è un passo prima da compiere, cioè mettere tutti nelle stesse condizioni di poter realizzare appieno i propri talenti. Ripeto, si parte da quel principio per cui i ragazzi non sono sacchi vuoti, ma sono giacimenti di talenti. Cosa faccio io per riconoscerli? Quando a don Lorenzo hanno domandato come faceva a tenere i suoi ragazzi a scuola per 12 ore e per 365 giorni l'anno, lui ha risposto che non bisogna domandarsi quale metodo utilizzava, ma come devono essere gli insegnanti. Il che significa riscoperta della loro funzione, che è una funzione maieutica, generativa, che poi è la funzione dell’amore a cui si richiama tutto. Il Papa lo dice nella Laudato si’, nella Fratelli tutti. La dimensione dell’amore è sempre maieutica. Dante diceva che l’amore muove il sole e le altre stelle, insomma la dimensione dell’amore è fondamentale e non dobbiamo vergognarci o sostituire la dimensione dell’amore con la tecnica. Mai confondere la ricerca degli strumenti con la ricerca del fine: ecco il punto radicale della scuola di don Milani.

Oggi ci sono tante scuole, quasi mille in Italia, intitolate a don Milani e ci sono esperienze che si ispirano a lui. Che cosa può dirci a questo proposito?

Guardi, noi in questi anni – il trend iniziò ancor prima che Papa Francesco con quel momento di grazia che è stata la sua visita a Barbiana, segnasse il punto culminante del riscatto e delle sofferenze di questo prete -, in questi anni, dicevo, le scolaresche vengono numerose a Barbiana. Pensi che in questo mese abbiamo avuto oltre un migliaio di ragazzi, perché c'è un richiamo forte di Barbiana sulle scolaresche, sui giovani e anche sulle associazioni sindacali e politiche. Noi poniamo un solo vincolo molto forte e cioè che chi viene a Barbiana, non viene per fare una scampagnata, ma deve venire per meditare, per riflettere e in un atteggiamento di silenzio per ascoltare ciò che dice don Milani. L'abbiamo detto anche nel Comitato nazionale per il Centenario che vogliamo che quest'anno a parlare sia don Milani. E poi le devo dire che dalla prima volta nel ’68, tutte le volte che rileggo Lettera una professoressa o Esperienze pastorali ecc… non finisco mai di imparare. Più si legge negli anni, più questo sacerdote lascia a chi legge un segno profondo, indelebile, che ci permette di dare tante risposte anche alle nostre sofferenze quotidiane.

Don Lorenzo ha fatto appena in tempo a vedere la pubblicazione di Lettera a una professoressa, ma non ha assistito a tutto ciò che è seguito. E impressionante questa cosa…

Verissimo. E io a volte penso che don Milani le cose che oggi stiamo facendo per ricordarlo, lui non le avrebbe accettate. Tutto quello che don Milani ha fatto a Barbiana, lo ha fatto solo per amore dei ragazzi. Ora stanno trasmettendo in Rai, Barbiana ‘65, rimasto a lungo un film nascosto. Ma lui non lo voleva fare, lo fece solo per dare un ricordo ai ragazzi di che cos'era quella scuola lì. Chi avrebbe accettato ieri quelle famiglie che coi loro ragazzi hanno capito che potevano imparare da don Lorenzo, oggi salverebbe anche tante pratiche educative e accetterebbe sicuramente tutti coloro che hanno il coraggio non solo di ammirare don Milani, ma di sporcarsi le mani per gli ultimi come lui ha sempre fatto.

Quindi il suo è un invito all'impegno più che semplicemente al ricordare?

Ad un impegno fattivo! Don Milani bisogna conoscerlo, approfondirlo, ma soprattutto bisogna imitarlo, per quanto ci è possibile, perché noi siamo nani che siamo portati sulle spalle di giganti come don Milani.

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27 maggio 2023, 10:00