Scontri tra Gaza e Israele, padre Romanelli: "Dio può cambiare i cuori e le menti"
Sofiya Ruda – Città del Vaticano
Nonostante le voci di un possibile cessate il fuoco, continuano i razzi da Gaza verso il sud di Israele e gli attacchi dell'aviazione israeliana contro obiettivi della Jihad islamica nell'enclave palestinese. Gli sforzi di mediazione in campo tra Israele e Gaza non hanno ancora raggiunto alcun risultato. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Giordania ed Egitto hanno chiesto la fine delle violenze tra Israele e i militanti di Gaza, che da tre giorni si scambiano attacchi pesanti. Anche il segretario generale dell’Onu ha esortato le parti a esercitare massima moderazione. Guterres ha condannato “la perdita di vite civili, compresa quella di bambini e donne", invitando Israele "a rispettare il diritto umanitario internazionale, compreso l'uso proporzionale della forza e l'adozione di tutte le precauzioni possibili per risparmiare i civili nella conduzione delle operazioni militari". Guterres "condanna", inoltre, "il lancio indiscriminato di razzi da Gaza verso Israele, che viola il diritto umanitario internazionale e mette a rischio civili sia palestinesi che israeliani".
Le vittime civili del conflitto
A soffrire sempre di più questi atti di violenza, spiega a Radio Vaticana - Vatican News padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza, è la popolazione civile: “Come tante volte capita nelle guerre cadono persone che non c’entrano niente con il conflitto. La situazione è brutta, preghiamo per quelli che sono morti e speriamo che non diventi peggio”. Gran parte della popolazione è costituita da giovani che non sono mai usciti dal Paese e probabilmente non potranno mai farlo. “Con i telefonini loro vedono come una finestra la realtà. Negli ultimi tempi l’Egitto ha aperto la frontiera, quindi ci sono migliaia che partono. Chi può permettersi di uscire può incominciare una vita nuova in un altro Paese. La popolazione in genere è molto povera e quindi sono costretti a vivere questa realtà miserabile”.
Il sostegno della Chiesa
Il sacerdote evidenzia che ci sono tre vie importanti per raggiungere la pace. Prima di tutto, bisogna pregare perché “la pace è un dono, Dio può cambiare i cuori e le menti di tante persone”. In secondo luogo, far conoscere l’esistenza della popolazione civile che vuole veramente la pace e diffondere i principi di senso comune. Infine, la via dell’aiuto, sia morale che materiale, grazie a numerose istituzioni presenti. “La Chiesa Cattolica, nonostante sia una piccola comunità di 136 persone, è molto attiva nel servire tutti i cristiani, che sono un po’ più di mille persone, e migliaia di musulmani”. Le istituzioni di formazione cattolica, spiega ancora Romanelli, vedono la presenza di moltissimi alunni musulmani: “Ci amano veramente e noi amiamo loro. Sono delle famiglie molto aperte e rispettose, tanti di loro vivono con valori cristiani rispettando la loro religione. Questa è una maniera per disseminare la giustizia e la pace”.
La pacificazione
“Come diceva Papa Giovanni Paolo II, non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono e riconciliazione. Per questo si deve lavorare a una riconciliazione dei popoli”, prosegue padre Gabriel. Una pacificazione per lui è possibile, “però deve cambiare la maniera di pensare: bisogna far uscire dal cuore e dalla mente la cultura della cancellazione, quella di cui parla Papa Francesco”. Bisogna riconoscere la realtà, il popolo palestinese esiste da migliaia di anni, sono all’incirca 6 milioni di persone tra Gaza, Gerusalemme orientale e la Cisgiordania. Secondo il parroco, la cosa fondamentale è "pregare il Signore, affinché cambi il cuore e la maniera di pensare". Inoltre, conclude, "tutte le persone che svolgono delle funzioni, come i sacerdoti, i ministri, i diplomatici, i professori, i maestri, gli insegnanti di religione e quelli che sono nei movimenti sociali, hanno un ruolo fondamentale per cambiare la maniera di pensare, per seminare veramente la giustizia e la pace".
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