Guerra in Ucraina, la società civile chiede “pace subito!”
Michele Raviart – Città del Vaticano
Agire per chiedere un cessate il fuoco immediato e senza condizioni in Ucraina, al fine di risparmiare altre vittime e cercare di aprire una trattativa che possa affrontare le cause profonde di un conflitto che sta devastando il cuore dell’Europa. Sono questi i propositi dell’incontro “Pace subito!”, un’inedita occasione di confronto tra i movimenti e le associazioni – d’ispirazione cattolica e no, di sinistra, di centro e di destra – che vedono nelle parole di Papa Francesco di condanna alla guerra e al commercio di armi, uno dei pochi fari per scongiurare l’aggravamento della “terza guerra mondiale a pezzi” e l’escalation nucleare.
Non lasciare il Papa solo nell’impegno alla pace
L’evento, che è stato ospitato nella sede di Vatican News \ Radio Vaticana a Palazzo Pio, nasce, ha spiegato Giancarlo Moretti, membro esecutivo del Forum Terzo Settore, dall’appello di Papa Francesco a “non lasciarlo solo nell’impegno per la pace”. Sulle sue posizioni si ritrovano infatti in tanti, anche i non cattolici, ha sottolineato Moretti, citando l’enciclica Fratelli Tutti e l’appello a tutti gli uomini di buona volontà a lavorare insieme per la pace. “O ci salviamo o andiamo verso lo scenario nucleare”, ha ribadito invece Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova del Movimento dei Focolari, che ha organizzato l’incontro insieme al Movimento Cristiano dei Lavoratori, “e bisogna perciò capire come dare voce a una società civile che sia autonoma e capace di incidere nel fermare questa strage e questo commercio di armi che stanno portando il mondo a un punto di non ritorno”.
Una guerra imprevista, ma non imprevedibile
Secondo i dati forniti da Maurizio Simoncelli, cofondatore dell’istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, in Ucraina sono morti finora 350 mila soldati - russi e ucraini - e ventimila civili. I danni economici si possono calcolare tra i 410 e i 710 miliardi di euro, mentre 50 miliardi è invece il conto dei danni ambientali, che hanno coinvolto il 20% delle aree naturale protette in Ucraina e tre milioni di ettari di foresta. Al 15 gennaio 2023, intanto, gli aiuti militari dei maggiori donatori era pari a 60 miliardi. Una cifra che si inserisce in un più ampio contesto di aumento delle spese militari globali, che dalla fine della guerra fredda sono passate da 1.602 miliardi di dollari nel 1988 a 2.181 miliardi nel 2022. “Una guerra imprevista, ma non imprevedibile”, ha commentato Simoncelli, “perché più aumentano le armi e la sicurezza armata e più aumentano i rischi di un conflitto”.
La mano tesa della società civile
In questo contesto, ha fatto notare il presidente dell’Arci Walter Massa, è significativo come con la guerra il valore delle azioni di alcuni dei più importanti produttori di armi sono aumentate del 15%, così come sono impressionanti gli extraprofitti delle industrie del petrolio e del gas. Questi, ha spiegato Vanessa Pallucchi, portavoce del Terzo settore e di Legambiente, sono conflitti su risorse e su modelli di sviluppo che non vanno semplificati. Adesso, ha ribadito, c’è uno sbilanciamento sull’investimento nel riarmo, rispetto a quanto investito nei bisogni sociali e ambientali, ha sottolineato. La diplomazia ufficiale, poi, spesso latita ed è affidata “alla mano tesa delle ong”, e questo tanto a livello internazionale, con gli aiuti alle vittime, quanto a livello nazionale, con l’accoglienza ai profughi nei Paesi di accoglienza.
Mai proposto un cessate il fuoco
Nessuno ha mai messo in dubbio il diritto dell’Ucraina a difendersi, ha specificato chiaramente Sergio Bassoli della Rete italiana pace e disarmo, ma gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno il dovere, secondo la Carta dell’Onu, di fare il possibile per far finire il conflitto in maniera negoziale, e questo non è stato fatto. “Un cessate il fuoco non è mai stato nemmeno proposto”, ha sottolineato poi l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, portavoce del “Comitato Fermare la Guerra” critico sul continuare una guerra “che non porta a nulla se non ad ulteriori disastri”.
Non si esce da un conflitto senza mediazioni
L’auspicio di tutti, allora, è che la missione affidata dal Papa al cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, in accordo con la Segreteria di Stato per favorire percorsi di pace nel conflitto possa avere buon esito. E se Gabriele Bardo, del Movimento dei Focolari, ha spiegato come l’esigenza dei cristiani sia quella di essere prima “artigiani di pace” e poi “architetti di pace”, il professor Cesare Graziano Zucconi della Comunità di Sant’Egidio ha ricordato che “da un conflitto non si esce senza mediazioni”. Questo avviene anche in caso di una vittoria schiacciante delle parti, mentre questa guerra rischia di protrarsi a lungo senza un risultato acquisito sul campo. In questo senso, ogni pace è “impura”, perché un compromesso è sempre necessario, in quello che rimane un percorso lungo e che non si costruisce in poco tempo, come avvenne in Mozambico.
Nessuna assuefazione alla tragedia della guerra
Tra i rischi di questa fase, poi, c’è che l’opinione pubblica europea si sia rassegnata alla guerra e al ricorso acritico alle armi. “Ci siamo assuefatti, bisogna creare opinioni”, ha affermato Antonio di Matteo, presidente nazionale del Movimento Cristiano dei Lavoratori. Quando il Papa ci ricorda che la pace è possibile, ha continuato, ci interpella come persone, famiglie, corpi intermedi e lavoratori, ed è compito delle associazioni e dei movimenti di ricomporre questi rapporti. Questo è vero anche a livello di entità statuali, quando si tratta di “attuare la vera pace”, come suggeriva la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, che proprio quest’anno compie 60 anni.
Buttare sabbia nel meccanismo della guerra
“La gente purtroppo accetta la guerra”, ha sottolineato Erica Mastrociani, portavoce delle Acli. “Siamo una minoranza e dobbiamo fare massa critica nell’aiutare le persone a far nascere una coscienza”, ha affermato, “più cresce il bisogno di sicurezza, meno si parla di pace. Dobbiamo buttare sabbia nel meccanismo della guerra”. “Non abbiamo mai condiviso il pacifismo ideologico, ma era necessario partecipare a questo incontro”, è stato l’intervento di Riccardo Pedrizzi, vicepresidente nazionale dell’UCID – Unione cristiana imprenditori e dirigenti, ma è la dottrina sociale della Chiesa e le parole del Papa a chiederlo. Al centro, conclude, c’è sempre la centralità della persone e bisogna sempre partire da una visione antropologica dell’uomo, prima di osservare, giudicare e agire.
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