Primo maggio, monsignor Battaglia: no al lavoro senza giustizia
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Spezzare la spirale del lavoro precario, basta sfruttamento, basta morti sul lavoro: lo chiedono i sindacati Cgil, Cisl e Uil riuniti quest'anno a Potenza nel giorno della Festa dei lavoratori. Che venga tutelata la dignità del lavoro e la sua centralità. E anche la Chiesa se ne fa promotrice, attraverso gli appelli di numerosi vescovi.
Da Mondovì a Trento: quando manca il lavoro manca tutto
"San Giuseppe ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca": è il tweet di Papa Francesco diffuso dall'account @pontifex nella Festa di San Giuseppe Lavoratore. E sulla portata umanizzante del lavoro e sulla sua dignità, si sono soffermati la mattina del 1 maggio il vescovo di Mondovì, monsignor Egidio Miragoli, nella Messa presieduta nelle acciaierie “Riva” a Lesegno. Mentre qui il presule sottolinea l'importanza di fare del lavoro un luogo di riscatto e capace di dare senso al nostro tempo, a Pergine, il vescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi, proclama che "ogni giorno sia primo maggio". Nella celebrazione che coincide anche con la festa di fine catechesi per la terza città del Trentino, il suo pensiero va ai tanti che vivono la precarietà lavorativa: "Preghiamo perché possiamo sentire che il lavoro è questione decisiva per la qualità della vita", denuncia precisando che "quando il lavoro manca, manca tutto". E invita a ricordare anche i tanti uomini e donne che nel Terzo Mondo lavorano nelle varie multinazionali in condizioni di sfruttamento.
Da Napoli, Battaglia: chiamati a inventarci scenari nuovi
Intanto, già l'arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia, molto sensibile nel farsi portavoce dei diritti dei lavoratori, il 29 aprile era entrato in quello che ha definito "lo spazio sacro del lavoro" celebrando la Messa nello stabilimento Kimbo dove circa 260 persone sono impegnati nella torrefazione e distribuzione del caffè. Citando il discorso di Papa Francesco per i 125 anni dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, dello scorso 3 aprile, il presule partenopeo ha espresso la sua preoccupazione per le tante vittime del lavoro "nelle fabbriche distratte”, nei cantieri insicuri, nei campi della nuova schiavitù, dove quella carne umana sopravvissuta al mare viene comprata e venduta a pochi euro". Ha affondato sulle "questioni irrisolte di un nuovo capitalismo cinico e beffardo quanto crudele e stupido", su un lavoro che, "se è sottopagato, spesso dequalifica e aliena giovani". "Con responsabilità e realismo, siamo chiamati a inventarci scenari nuovi e inediti con il fattivo e convergente contributo di tutti: imprenditori e operai, sindacato e politica, società civile e Chiesa, semplici cittadini e famiglie", ha detto. "Senza lavoro non c’è dignità. Senza lavoro perdiamo anche l’identità delle persone. Non c’è giustizia senza lavoro, ma non vi deve essere lavoro senza giustizia. E su questo c’è ancora molto da fare, tanto da lottare".
L'appello alle istituzioni: ognuno abbia la dignità del lavoro
"Come comunità cristiana non ci tireremo indietro e faremo la nostra parte nella speranza che con le istituzioni e la società responsabile si possa dar vita ad una cordata sociale all’insegna della solidarietà, della giustizia e della pace", ancora un passaggio della sua omelia. Ha insistito sulla necessità che alle parole d’ordine degli ultimi decenni come "competitività, produzione, profitto, crescita", si affianchino parole come “solidarietà, sussidiarietà, dignità della persona e della famiglia”. E poi ha scandito: "I casi di povertà, di depressione, non sono che i 'luoghi circostanti', i dintorni drammatici alla disoccupazione! Baratro in cui il nostro Paese va piombando sempre più!". Da qui, l'invito a darsi da fare soprattutto nell'ambito della scuola e della politica. "Faccio perciò un accorato appello alle Istituzioni di Governo ad assumere pienamente il coraggio della politica! Perché ogni persona abbia la dignità del lavoro e il pane necessario per sé e la propria famiglia. La politica deve tornare ad accordarsi al bene del popolo che essa governa e guida! Non è simbolismo! È dovere!".
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