Sudan, violenti scontri nonostante la tregua
Sofiya Ruda – Città del Vaticano
L'ennesima tregua in Sudan è stata violata. Nel corso della notte, nella parte meridionale della capitale Khartoum, ci sono stati scontri e attacchi aerei, nonostante fosse in vigore uno stop alle armi di una settimana tra esercito e paramilitari per consentire il passaggio di civili e aiuti umanitari nel Paese. Dal 15 aprile la guerra tra l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhane e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (FSR) del generale Mohamed Hamdane Daglo ha provocato un migliaio di morti e più di un milione di sfollati e profughi.
Il bisogno di una missione
I due schieramenti non riescono a rispettare il cessate il fuoco, perché entrambi cercano di approfittare di qualsiasi distrazione per raggiungere un vantaggio tattico all’interno di uno scenario di stallo, spiega a Radio Vaticana – Vatican News Marco Di Liddo, analista di politica estera presso il Centro Studi Internazionali. “Le Nazioni Unite potrebbero spingere le due parti a sedersi al tavolo negoziale per rispettare delle misure in grado di tutelare la sicurezza e la vita dei non combattenti”. Il problema maggiore, secondo Di Liddo, è che in questo momento, per applicare simili misure, in Sudan ci sarebbe bisogno di una forza militare di interposizione, di una missione. “Se non è delle Nazioni Unite, può essere dell'Unione africana, ma, essendo il Sudan uno scenario ad alto rischio con alti livelli di violenza, vedo difficile che qualche Paese o una coalizione di Paesi si impegni ad entrare in quel teatro”.
Il rischio di destabilizzazione
Oltre un milione di persone sono in fuga dal Paese in conflitto. Questa situazione rischia di destabilizzare in maniera profonda tutta l’Africa. “Per collocazione geografica e per peso politico regionale e internazionale, un Sudan instabile rischia di portare fenomeni entropici in Ciad, in Etiopia e di influire negativamente sul traffico degli esseri umani, portando, nel medio periodo, ad un aumento dei flussi migratori irregolari all'interno dell’Africa orientale e verso l’Europa”, sottolinea l’esperto. Inoltre, l’instabilità sudanese potrebbe minacciare, da un lato, determinati interessi europei in Africa orientale e, dall’altro, aumentare il flusso migratorio lungo la rotta africana orientale, trasformando la pressione migratoria in una problematica politica per le classi dirigenti europee".
Un popolo martoriato
Già prima dello scoppio del conflitto, il Paese viveva una grave emergenza umanitaria, con povertà diffusa nella capitale e nelle zone rurali. “In questo momento, all’insicurezza politica, economica e umanitaria si è aggiunta anche quella fisica legata agli scontri. Il popolo sudanese è un popolo martoriato, che non vede altra soluzione che la fuga per cercare di proteggere la vita propria e quella dei cari”, continua Di Liddo. Molte persone che erano fuggite dal Sud Sudan, inoltre, si sono viste costrette a tornare in patria dopo aver vissuto come rifugiati in Sudan. “Parliamo sempre di un Paese con una grave emergenza a livello di sviluppo e povertà – conclude l'esperto – dove questi profughi, purtroppo, non riescono ad essere assistiti come dovrebbero”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui