Venezia, la Biennale di architettura che dà voce all'Africa
Antonella Palermo - Città del Vaticano
"So che il mondo sta sanguinando ma non possiamo soccombere": così l'architetta e scrittrice Lesley Lokko, curatrice della 18ma edizione della Mostra internazionale di Architettura "The Laboratory of the Future" presentata stamane a Venezia che la ospiterà dal 20 maggio al 26 novembre. "Quando tutto il mondo è addormentato, l’idea creativa si forma", ha aggiunto nell'illustrare una manifestazione che per la prima volta punta i riflettori sull'Africa e sulla sua diaspora, "su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo".
La creatività africana per una storia più completa dell'architettura
La storia dell'architettura è incompleta, perciò questa Mostra vuole essere più inclusiva aprendosi a un poliedro di voci di vaste fasce di umanità troppo a lungo ignorate, lingue per troppo tempo 'zittite'. Ne è convinta Lesley Lokko, ghanese, dal piglio altamente carismatico e autorevole, fondatrice ad Accra dell'African Futures Institute che tuttora dirige. Formatasi in Europa, con un ventaglio di docenze da Londra agli Stati Uniti, può vantare un lavoro trentennale nel campo dell'architettura e della letteratura. La scelta di lasciare che fosse lei a curare l'edizione numero 18 della Biennale è perché "fa dell’architettura uno dei campi di ricerca per lo sviluppo dell’umanità". Lo ha chiarito stamane il presidente della rassegna Roberto Cicutto, il quale ha precisato che "si chiede sempre di più all’architettura di dare risposte precise ai bisogni delle persone, soprattutto dopo la pandemia; lei porta un laboratorio, un modo di procedere, per estenderlo al mondo: fa dell’Africa un modello". Cicutto evidenzia anche l'uso che la Lokko fa del termine practitioners, che preferisce al termine architetto, trovando quest'ultimo riduttivo. L'accento è così sulla dimensione concreta dell'azione progettuale, senza che ciò comporti una rinuncia al tratto estetico. Un approccio che, anche sul piano linguistico, riflette - a detta della curatrice - le condizioni dense e complesse dell'Africa e di un mondo in rapida ibridazione che richiedono una comprensione più ampia del termine 'architetto'.
Decolonizzazione e decarbonizzazione
Al Padiglione Centrale dei Giardini comincia l'itinerario della Mostra (come sempre pensata per poter essere fruita anche a livello diffuso nella città) che porta a scoprire il distillato della produzione architettonica africana e diasporica (16 studi). All'Arsenale si sviluppa con le opere di giovani practitioners che si sono misurati con i due macrotemi proposti in questa edizione: la decolonizzazione e la decarbonizzazione. Si tratta di due direttrici che costituiscono l'ispirazione ma anche il metodo con cui si è lavorato, in conformità peraltro con gli obiettivi di sostenibilità a cui gli Stati sono chiamati e a cui pure gli organizzatori della Biennale si sono attenuti attraverso, in primis, la riduzione delle emissioni.
Ampliate le partecipazioni
Sono 89 i partecipanti a Laboratory of the Future, e il fatto che oltre la metà siano provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana fa anche abbassare l'età media: 43 anni, e scende a 37 nella sezione Progetti Speciali della Curatrice, in cui il più giovane ha 24 anni. Per la prima volta entra a farne parte il Niger con un padiglione allestito nell'isola di San Servolo. Panama si presenta per la prima volta come Stato a sé, in passato partecipava nell'ambito dell'organizzazione internazionale italo-latino americana. E torna la realizzazione della Santa Sede, allestita all'isola di San Giorgio (aveva partecipato per la prima volta nel 2018).
A proposito della cospicua presenza africana alla Biennale, Lokko ha precisato che "non si tratta di avere più neri. Noi non siamo un’aggiunta, una decorazione". Avendo all'attivo anni e anni di docenza a livelli prestigiosi, la sua preoccupazione non è infatti quella di un semplice riscatto culturale: "Si tratta di arrivare alle fondamenta della conoscenza, non fermarsi a uno strato superficiale", ribadisce, e aggiunge un dato simbolico: "Venezia ha una fluidità che la caratterizza, tra il mare e la terra, e si presta molto a rappresentare anche ciò che non si vede". E ancora: "L’architettura è una forma plastica: ricuce passato, presente e futuro", in quest'ottica bisogna guardare a questa Biennale, tenendo conto tuttavia che nulla qui è predeterminato, che conta "come mi fa stare un'opera", non tanto come mi informa.
Una piattaforma in progress
Tra le novità della Biennale che si sta aprendo a Venezia c'è il progetto Biennale College Architettura: dal 25 giugno al 22 luglio, quindici docenti di calibro internazionale lavoreranno con cinquanta studenti, accademici e professionisti emergenti selezionati tra un migliaio di candidature. Un vero e proprio Campus da cui verrà fuori un documentario dedicato all'esperienza formativa che sarà diffuso a ottobre prossimo. Inoltre, durante i sei mesi di Mostra, una serie di incontri, tavole rotonde e performance daranno vita a Carnival, uno spazio di condivisione e di 'liberazione' che - per iniziativa della stessa Lokko - coinvolgerà registi, poeti, intellettuali, attivisti, in una coralità e scambio che darà conto proprio del fatto che nulla verrà disperso, che la Biennale è un processo, che la cosa importante è "mostrare la dipendenza reciproca, la propria presenza connessa a quella degli altri". Il laboratorio della Mostra non è un progetto educativo, è stato rimarcato nella presentazione. Non impartisce lezioni ma vuole porsi come una sorta di punto di rottura, di agente di cambiamento in un tempo di crisi, quello che l'umanità vive in questo tempo, in cui paradossalmente il terreno è più fertile dal punto di vista del movimento creativo.
Al nigeriano Nwoko il Leone d'Oro alla carriera
Se non fosse stato per il retrogusto amaro con cui si è aperta la conferenza stampa, in cui si inevitabilmente fatto cenno alla vicenda di tre ghanesi che avrebbero dovuto partecipare alla inaugurazione della Biennale e a cui è stato negato il visto ("non è la prima volta purtroppo che a persone del sud del mondo accade una cosa del genere", ha detto Lesley Lokko), il clima con cui è stata accolta questa donna alla guida della rassegna è stato di diffuso entusiasmo. Lo stesso con cui è stato applaudito all'inizio della conferenza stampa, l'artista, designer e architetto nigeriano, Demas Nwoko, 88 anni, a cui è stato assegnato il Leone d'Oro alla carriera della 18ma Biennale di Architettura a Venezia. La cerimonia di premiazione sabato a Ca' Giustinian. Nwoko - che è anche scenografo, scrittore e storico - è stato uno dei primi creativi nigeriani dello spazio e della forma, ha ricordato la curatrice dell'edizione di quest'anno della Mostra, a criticare la dipendenza della Nigeria dall'Occidente per i materiali e i beni importati, oltre che per le idee, ed è sempre rimasto impegnato nell'utilizzo delle risorse locali". È stato uno dei pionieri interessati a una miscela di modernità ed estetica africana come linguaggio autentico che rifletteva il crescente spirito di indipendenza politica negli anni Quaranta e Cinquanta. Nel 1977, a proposito del primo lavoro commissionato a Nwoko per la costruzione del complesso per l'Istituto Domenicano di Ibadan, il critico di architettura Noel Moffett scriveva: 'Qui, sotto un sole tropicale, architettura e scultura si combinano in un modo che forse solo Gaudí, tra gli architetti, è stato in grado di fare in modo convincente'".
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