Don Savino Orsini, un parroco di montagna nella guerra di liberazione
Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
Tra le manifestazioni del 2 giugno, per celebrare la festa della Repubblica italiana, oltre a quelle che si svolgono nelle grandi città e a Roma, in particolare, ci sono anche iniziative in altri luoghi, in quei paesi, in quei borghi meno conosciuti che costituiscono il tessuto vivido del nostro Paese. Tra questi c’è Morrea, un villaggio in provincia dell’Aquila, nella Marsica, in Abruzzo. Qui, nella giornata di oggi, verrà presentato il libro "Un parroco di montagna nella guerra di liberazione", il nuovo volume di Ermanno Detti, giornalista, scrittore, direttore della rivista di letture e letterature giovanili “Pepeverde”. Un racconto, edito da Editori Riuniti, ispirato a fatti realmente accaduti che vede come protagonista il sacerdote don Savino Orsini, ambientato proprio a Morrea, “piccolo villaggio arroccato come un nido d’aquila su una montagna dell’Appennino abruzzese”, come si legge nell’incipit del libro. Ce ne parla l’autore ai microfoni di Vatican News.
Ermanno Detti, “Un parroco di montagna nella guerra di liberazione” è il suo ultimo racconto. Di cosa parla?
È la storia di un parroco, un sacerdote, don Savino, che viene assegnato a un piccolo villaggio arroccato sull'Appennino abruzzese. Un villaggio isolato: non ci sono strade che lo congiungono agli altri paesi o alla strada provinciale, tanto è vero che d'inverno rimane bloccato e ci si sale solo attraverso mulattiere. In questo paese che si chiama Morrea e che si trova in provincia dell'Aquila, situato a nord di Cassino, succede che tra il 1943 e il 1944 affluiscono dei prigionieri, dei rifugiati, degli sfollati. Questo paese di soli 450 abitanti arriva ad accogliere fino a 5800 rifugiati politici. Questi rifugiati erano degli ex prigionieri di guerra che erano stati imprigionati nei campi di concentramento, alleati inglesi e americani. Con l’8 settembre, dopo l’armistizio proclamato da Badoglio, vengono abbandonati a se stessi e quindi scappano. Ma dove vanno queste persone? Non sanno dove andare. Tutti a casa, ma loro la casa non ce l'hanno o ce l'hanno lontana e per sfuggire alle angherie naziste, perché se li riprendono finiscono in Germania o addirittura fucilati, pensano di potersi riparare in questo piccolo paese che, essendo isolato, può costituire per loro un rifugio più sicuro. Vanno lì e invece di essere scacciati, di essere allontanati, trovano accoglienza, trovano assistenza, vengono nutriti, alloggiati. E sembra un miracolo, sembra una fiaba. Queste persone si troveranno così bene che alcuni di loro resteranno a Morrea per sempre.
Il protagonista di questo racconto, l'attore che per primo accoglie e che dà il via all'accoglienza poi di tutto il paese è un sacerdote. Chi è stato don Savino Orsini?
Un sacerdote che si organizza per accogliere tutti questi profughi e li accoglie insieme a tutta la comunità. Ciò che riesce a fare è una cosa incredibile. Aiuta questi prigionieri: fornisce loro cartine geografiche e li aiuta a oltrepassare Montecassino e a ricongiungersi con l'esercito alleato. È un'operazione difficilissima, anche rischiosa, ma molte persone riescono a partire da Morrea. C'è un fatto straordinario: molti vengono curati perché e ammalati e gli vengono dati abiti e scarpe. C’è un numero che mi ha fatto impressione: vengono fornite 373 paia di scarpe perché queste persone naturalmente arrivavano mezzi scalzi, malvestiti... Il protagonista è questo sacerdote, un personaggio straordinario, che sta dalla parte dei partigiani tant'è vero che verrà riconosciuto come partigiano, però non fa mai violenza, non si arma e non combatte contro i tedeschi, ma aiuta semplicemente questi rifugiati a ricongiungersi ai loro i loro alleati. Fra questi personaggi a Morrea ci sono alcuni disertori tedeschi che si rifugiano e cercano dove nascondersi. La trama è molto complicata, molto articolata, perché poi nascono amori, nascono odi... ma questo è in pratica il succo del romanzo.
Quindi è una piccola storia in un luogo isolato dell'Appennino abruzzese che fa da contrappunto alla grande storia della seconda guerra mondiale, in particolare tra il 1943 e il 1944. Che cosa insegna alla grande storia questa piccola storia?
È un episodio molto particolare di resistenza, perché di vera e propria resistenza si tratta. Una resistenza che fa rima con assistenza, con accoglienza. Parla di un sacerdote, don Savino, che predica la fraternità, la libertà, l'uguaglianza nei diritti e avversa l'idea di superiorità della razza, del disprezzo della democrazia e della disuguaglianza umana. Crede nella libertà e nell'uguaglianza nei diritti e della fraternità. La sua assistenza si basa sulla misericordia e sulla carità cristiana. La popolazione di Morrea risponde e segue questo parroco, anche se accogliere tutte queste persone comporta dei grossi sacrifici, perché si basa su un senso di grande ospitalità e solidarietà. E sono sentimenti ancora più forti in chi era isolato. Questa popolazione era dimenticata dal mondo e quando il mondo gli si rivolge risponde con accoglienza, con un entusiasmo incredibile. C'è quasi un orgoglio in questa popolazione rimasta dimenticata che trova in questa occasione l'opportunità di un riscatto, un modo per rendersi utile al mondo dal quale si erano sentiti trascurati per tutta la vita, per secoli. Finita la guerra, il sacerdote sarà attivo ancora per anni perché lui riesce a salvarsi malgrado i nazisti facciano delle azioni a Morrea, ma senza mai compiere stragi come è avvenuto a Stazzena o in altri luoghi, proprio perché don Savino dirà sempre di aver agito in nome della carità cristiana e in questo modo riuscirà a difendere sé stesso e la comunità. Questa piccola storia insegna che è sempre possibile, di fronte a chi ha bisogno, essere accoglienti e non respingere. Veramente una storia che ho trovato bellissima, tant'è vero che nello scrivere mi sono più volte emozionato.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui