Istat: In Italia l’inflazione frena, ma preoccupano le conseguenze
Beatrice D’Ascenzi – Città del Vaticano
Un rallentamento del 6,4 %. Secondo l'Istat i dati sull'inflazione italiana sono in decelerazione, ma nonostante ciò ci sono prodotti importanti per i consumatori cui costi continuano a crescere. Tra questi la benzina - che torna a sfiorare i 2 euro al litro - e i beni alimentari, che nonostante una leggera riduzione continuano comunque a mostrare un andamento particolarmente discontinuo. Una realtà complessa per le famiglie: se per il Codacons in questi settori i listini continuano a mantenersi su "livelli elevatissimi", secondo l'Unione Nazionale Consumatori per una coppia con due figli, il +6,4% di inflazione significa una spesa pari a 1834 euro su base annua di cui 846 servono solo per far fronte ai rincari dell'11% di cibo e bevande. Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata, spiega a Vatican News l’andamento di un fenomeno complesso che, nelle sue sfaccettature, interagisce inevitabilmente nella vita delle persone.
Il mercato e il mondo contemporaneo
“In queste fase – spiega Becchetti - ci troviamo in un momento di l'inflazione in genere calante, soprattutto dopo l'esplosione dei prezzi del gas dovuti alla guerra In Ucraina. Stiamo assistendo però ad un atterraggio lento, perché ovviamente i costi dell'energia che sono stati pagati dalle imprese nei mesi passati continuano a incidere sui prezzi. Tuttavia c'è anche una questione nuova, quella dei prezzi alimentari che sicuramente risentono dei costi maggiori dell'energia nei mesi passati, ma soffrono anche emergenze climatica”. Infatti, eventi estremi come siccità, alluvioni e sbalzi di temperature, sempre più frequenti e dannosi, hanno un impatto negativo anche sull'offerta dei prodotti agricoli, aumentandone i costi di produzione e vendita.
Gli effetti del inflazione sui paesi in via di sviluppo
Uno dei modi per più diffusi per arginare le conseguenze dell’incremento dei prezzi è l'aumento dei tassi di interesse. Una misura che però, secondo Becchetti, “produce effetti collaterali importanti perché comporta l'aumento dei costi dei mutui per i cittadini e problemi per le banche ed i loro investimenti”. Un aspetto meno indagato è invece quello che riguarda gli effetti i negativi per i Paesi poveri ed emergenti, continua l’esperto: “In questi giorni il G20 si sta riunendo in India proprio per cercare di dare una risposta alla crisi debitoria di quasi 50 Paesi, tra cui alcuni in default come lo Zambia, il Ghana e lo Sri Lanka. Questo perché quando Stati Uniti d'Europa optano per politiche monetarie restrittive, il loro cambio si rivaluta. Le persone acquistano attività nei loro mercati finanziari; quindi i Paesi che hanno un debito in valuta locale e con magari un tasso di interesse variabile si trovano in gravi difficoltà. Questo è già successo in passato, alla fine degli anni '70, con la crisi dei prezzi del petrolio e le successive politiche antinflazionistiche di Stati Uniti in Europa. E sta risuccedendo anche adesso”.
La realtà europea e quella statunitense
Nonostante ciò, secondo il professore, l'Europa e l’America vivono due realtà economiche troppo diverse per essere confrontate: “In Europa c'è uno strumento di regolamentazione bancaria che ha anche effetti di politica monetaria. Detto in modo semplice: in Europa le regole sulle banche, sono molto più severe sui requisiti patrimoniali e questo riduce la capacità di creare moneta ad alto potenziale, quindi riducendo anche l'impatto che la quantità di moneta che circola possa avere sull'inflazione. Quindi negli Stati Uniti c'è bisogno di interventi più drastici che da noi” .
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