Pakistan, attacco alle chiese cristiane. Bhatti: basta con l’odio
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
Nuove violenze anticristiane in Pakistan. Si sono verificate mercoledì 16 agosto a Jaranwala, nella regione del Punjab, nell’Est del Paese. I fatti sono avvenuti dopo che un gruppo di persone ha accusato dei cristiani di avere profanato il Corano. La folla, fomentata da estremisti, ha dato l’assalto ad alcune chiese - 21, riferisce il direttore esecutivo del Consiglio unito delle Chiese, Samson Suhail - ma ad essere prese di mira sono state pure alcune abitazioni. Parlando in una conferenza stampa a Islamabad, Suhail ha affermato che le Bibbie all'interno delle chiese sono state bruciate e fedeli costretti a lasciare le loro case. "Stiamo sollecitando al governo un'indagine indipendente e severe punizioni per i responsabili di questi attacchi", ha aggiunto. La polizia, intervenuta per placare gli animi, non è riuscita a evitare pesanti disordini. Non si registrano feriti.
La ricostruzione dei fatti
L’attacco contro le chiese cristiane è cominciato dopo che alcune persone hanno riferito di aver trovato nella zona dove abita la comunità cristiana alcune pagine del Corano con presunte scritte blasfeme. Le pagine sarebbero state quindi portate a un leader religioso locale che avrebbe invitato tutti i musulmani della città a protestare. Secondo ricostruzioni immediate, a essere colpite sono state tre chiese presbiteriane, una chiesa cattolica, una chiesa della Full Gospel Assembly e un’altra dell’Esercito della salvezza. Ma il numero degli edifici di culto attaccati è di 21.
La reazione delle autorità
Il primo ministro pakistano ad interim Anwaar-ul-Haq Kakar ha subito promesso provvedimenti nei confronti dei responsabili dei vandalismi. "Sono sconvolto dalle immagini, saranno presi provvedimenti severi contro coloro che violano la legge e prendono di mira le minoranze", ha scritto l'esponente politico sui canali social, aggiungendo che "a tutte le forze dell'ordine è stato chiesto di arrestare i colpevoli e consegnarli alla giustizia. Siate certi che il governo pakistano - ha concluso - è al fianco dei nostri cittadini su base paritaria". Nella notte la polizia provinciale ha poi reso noto con un comunicato che oltre 100 persone sono state arrestate in relazione agli attacchi contro la comunità cristiana, ribadendo che non sono stati segnalati feriti durante i disordini.
La condanna dei vescovi
Il presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, l’arcivescovo di Islamabad-Rawalpindi, monsignor Joseph Arsad, ha condannato con forza quanto accaduto a Jaranwala rivolgendo un appello al governo del Punjab affinché vengano presi immediati provvedimenti contro gli autori degli attacchi. “Questi incidenti - ha scritto in una nota diffusa dalla diocesi e ripresa da Asianews - aprono la strada all’insicurezza per le minoranze che vivono in Pakistan. I nostri luoghi di culto e la nostra gente non sono al sicuro. Vi sia un’indagine trasparente su questo tragico indicente in modo che sia ristabilito il primato della legge e della giustizia e si costruisca - si legge - una società migliore nell’armonia e nel rispetto delle religioni”.
Bhatti: violenza inaccettabile
Paul Bhatti, medico, dal 2011 al 2014 ministro dell'Armonia e delle Minoranze in Pakistan e fratello di Shahbaz Bhatti - politico cattolico pakistano, ucciso nel 2011 – in un'intervista ai media vaticani definisce “inaccettabile” questa violenza: “A pagare - dice - sono persone povere e già emarginate”. Quindi parla della legge sulla blasfemia, spesso usata dagli estremisti islamici come pretesto per attaccare le minoranze religiose. Questa legge punisce chi offende Maometto o il Corano con la pena di morte o l’ergastolo. "Certi musulmani - afferma - da una parte vogliono mantenere la legge sulla blasfemia e dall'altra non vogliono obbedire alla legge, così invece di denunciare eventuali trasgressioni - che il sistema giudiziario deve poi verificare che siano davvero tali - si fanno giustizia da soli attaccando i cristiani. Questo è inaccettabile, ma è ciò che succede il più delle volte. Poi molte persone reagiscono positivamente, donano soldi per ricostruire le case dei cristiani, ma nulla di più. La maggior parte delle volte i cristiani vengono accusati e messi in prigione, mentre quelli che hanno provocato e si sono fatti giustizia da soli, non ricevono mai alcuna punizione”.
Non educare all’odio
“Siamo davvero molto arrabbiati e molto, molto dispiaciuti per quello che è successo in Pakistan”, afferma Bhatti. "In passato abbiamo cercato di abrogare la legge sulla blasfemia. Ma per me questa non è una priorità. La priorità è prima di tutto che gli studenti (musulmani, ndr) non devono farsi giustizia da sé. Se lo fanno devono essere puniti. La seconda questione - prosegue - è la promozione del dialogo interreligioso. Finora non è stato fatto nulla. Ma noi vogliamo provare a percorrere la via del dialogo interreligioso. Perché se il problema è dei cristiani, se è dimostrato, sarà nostra responsabilità educare la gente a non provocare i musulmani. Ma sarà responsabilità degli insegnanti musulmani educare i bambini che studiano il Corano con i valori comuni della religione, evitando qualsiasi tipo di messaggio di odio, che di solito però viene trasmesso durante l'insegnamento del Corano ai bambini, che crescono con questo messaggio”. “Questo – spiega - dovrebbe essere il risultato del dialogo interreligioso. Se riusciamo a raggiungere questo obiettivo, non solo proteggeremo la comunità cristiana, ma sarà meglio per il Pakistan e per l'Islam stesso, perché credo che l'Islam sia una religione pacifica. Ha ottimi valori comuni, ma essi devono essere visti dalla comunità e da tutti. E se questi sono i valori che i religiosi musulmani rivendicano come loro buoni valori, allora - conclude - dovrebbero schierarsi contro queste persone che, di fatto, stanno diffamando l'Islam”.
Parolin e l'importanza del dialogo
Su queste tematiche è intervenuto anche il cardinale Pietro Parolin lo scorso 12 agosto, nell’omelia tenuta in Angola per l’ordinazione episcopale di monsignor Germano Penemote, nuovo nunzio in Pakistan. Il segretario di Stato ha ricordato come questo Paese asiatico abbia "notevoli potenzialità, ma deve affrontare difficili sfide; un Paese a maggioranza musulmana dove, al di là delle normative vigenti, non è sempre facile assicurare il pieno rispetto dei diritti delle minoranze religiose”. Il porporato ha invitato il nuovo nunzio a testimoniare al milione e mezzo circa di fedeli cattolici che vivono in Pakistan “l'attenzione del Papa e della Santa Sede per la loro comunità, affinché, sentendo il forte legame con la Chiesa universale, possano rafforzarsi nella loro fede e cercare vie di dialogo con i fedeli dell'islam e delle altre religioni. Questo dialogo - aveva sottolineato Parolin - è molto necessario se vogliamo riconoscerci reciprocamente come fratelli e sorelle, a prescindere dalle nostre differenze, e per eliminare ogni rischio di manipolazione della religione e ogni inaccettabile legittimazione della violenza”.
aggiornamento alle 17.10
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