Italia, ripensare i piani di prevenzione contro i disastri naturali
Stefano Leszczynski - Città del Vaticano
A tre giorni dall’esondazione del torrente Frejus, in Alta Val di Susa, in Piemonte, Bardonecchia sta tornando alla normalità e inizia a fare la conta dei danni. Nella cittadina del torinese, il fiume di fango e detriti ha danneggiato alcuni ponti ed edifici ed ha spazzato via una cinquantina di auto. Nel corso delle operazioni di ripristino delle strade è emerso un ordigno bellico dell’ultimo conflitto, fatto brillare dagli artificieri. Sul nord ovest italiano, intanto, la fase temporalesca ha spinto le autorità a mantenere l’allerta maltempo a livello giallo, almeno fino a venerdì. Anche in Valle d'Aosta è scattata l'allerta con l'adozione di alcune misure preventive di protezione civile.
Eventi estremi ed imprevedibili
Quello che è avvenuto a Bardonecchia, con l’improvvisa colata di fango che ha devastato una parte della città, sarà destinato a ripetersi con sempre maggiore frequenza. È per questo motivo che i piani di prevenzione dovrebbero essere aggiornati sulla base di nuovi modelli. Una necessità che Rudi Ruggieri, del Consiglio Nazionale dei Geologi, ritiene assolutamente prioritaria, soprattutto in aree fragili come quelle montane. “Tutto l'ambiente montano è sottoposto a tensioni naturali che causano un’evoluzione del territorio stesso e lo abbiamo già verificato negli anni passati. In più – spiega Ruggieri – non bisogna dimenticare che tutta l'Italia è geologicamente molto giovane”.
Territori fortemente urbanizzati
Le frane non sono una novità in territori naturalmente in evoluzione, il problema insorge in maniera grave quando ci si trova di fronte ad eventi meteorici eccezionali, frutto anche dei cambiamenti climatici. Ci troviamo di fronte a una serie di concause, è la spiegazione del geologo, che possono provocare disastri anche in quelle aree dove la gestione del territorio è più virtuosa. Quello che deve cambiare è l’impostazione dei piani di prevenzione soprattutto nelle aree più urbanizzate. “Noi prima progettavamo guardando i tempi di ritorno delle piene fino ai 20/50 anni precedenti - precisa Ruggieri - adesso dobbiamo pensare invece a quello che può succedere nel futuro, immaginando scenari anche catastrofici che ci consentano di rimappare il territorio con un aggiornamento continuo".
Restituire spazio alla natura
Comprendere come evolve il territorio e tenere conto degli scenari peggiori potrebbe non essere sufficiente di fronte a opere dell’uomo che ostacolano e imbrigliano il flusso delle acque dei torrenti e dei fiumi. Abbiamo tolto spazio ai fiumi e dato spazio per costruire case, denuncia Rudi Ruggieri. "Vanno aggiornati i piani regolatori comunali - conclude il geologo - ci sono grandi investimenti da fare. Stiamo parlando di miliardi di euro che dovrebbero essere investiti ogni anno per contrastare il dissesto idrogeologico per dare al territorio una veste migliore, che possa rispondere essere più resiliente ad un cambiamento che è in atto ed è obiettivo e visibile a tutti”.
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