Regno Unito, a Londra la marcia dei "no Brexit"
Leone Spallino – Città del Vaticano
In pochi credevano che il referendum sull’uscita dall’Unione Europea, promosso dal primo ministro conservatore David Cameron, avrebbe dato dei simili risultati. Il 51,89% dei cittadini britannici votarono a favore del divorzio da Bruxelles. Certo, le grandi città e la Scozia furono compatte a votare contro, ma non fu abbastanza per imporsi sui sostenitori dell’uscita dalla comunità europea. Adesso, passati poco più di sette anni e con la formazione di un movimento per il reintegro del Regno Unito nell’Unione, Antonio Varsori, professore di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Padova, commenta quale sia la situazione in merito alla questione di un possibile nuovo referendum: “Non credo ce ne sarà uno a breve - afferma – abbiamo visto la difficoltà nel risolvere le questioni post-Brexit dal punto di vista dell'organizzazione e dei trattati. Ho dunque dei dubbi che la Gran Bretagna possa rimettersi di nuovo in una situazione così complessa".
La questione economica
I principali problemi che attraversa il Regno Unito non sarebbero però, secondo Varsori, di natura diplomatica: “Alla fine la questione delle frontiere tra Dublino e l’Irlanda del Nord non si è dimostrata così problematica, come temuto, con gli Accordi del Venerdì Santo che hanno sostanzialmente retto. Piuttosto è la situazione economica quella che ha avuto un impatto più concreto sull’opinione pubblica”, dice il docente. Certamente, che l’uscita dall’Ue abbia comportato problematiche economiche, è riconosciuto anche da parte dall’elettorato conservatore (più vicino a posizioni anti Unione Europea rispetto ai laburisti) con un elettore su tre del partito di Rishi Sunak, che crede che la Brexit abbia creato più problemi di quanti ne abbia risolti (dati del Telegraph). “La parte più importante dell’economia influenzata dalla Brexit è sicuramente quella dei servizi. Lavori come le professioni sanitarie, oppure le costruzioni, sono tutti settori che contavano in buona parte su manodopera non nativa e ne hanno risentito. Certo, si cerca di sostituire la carenza di manodopera europea mediante forza lavoro proveniente dagli Stati del Commonwealth, ma i disservizi ci sono. E questo si ripercuote sulla percezione dei cittadini sullo stato dell’economia e sull’opinione pubblica”, aggiunge Varsori.
La Politica Estera
Per quanto riguarda la politica estera, invece, si assisterebbe ad una nuova comunione di intenti tra Londra e Bruxelles. “Se prima si notava un'Ue talvolta critica e polemica nei confronti del Regno Unito, tutto è cambiato dal momento dell’invasione russa dell’Ucraina", sostiene Varsori. Come a dire che la querelle fra Francia e Gran Bretagna di due anni fa per i diritti di pesca nella Manica è oramai acqua passata. “Il tema dell’Ucraina la fa da padrone in Europa, evidenziando un allineamento fra Londra e gran parte dei Paesi europei - prosegue - la Gran Bretagna è uno degli Stati più convinti nel proprio sostegno a Kyiv". Ma il futuro di questa convergenza politica potrebbe riservare qualche incertezza in più. “Ad oggi le cose stanno così - chiude Varsori - ma incombono già appuntamenti importanti, come le elezioni negli Stati Uniti e le elezioni europee. Le cose, dunque, a seconda dei risultati, potrebbero decisamente cambiare”.
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