Maayan: “Siamo persone di pace, è così triste che sia capitato a noi"
Alessandra Buzzetti *
Il più piccolo si chiama Kfir Bibas ed ha appena 9 mesi. Con lui ostaggio a Gaza nelle mani di Hamas ci sono almeno altri 20 bambini. Il numero delle persone brutalmente rapite dai terroristi la mattina del 7 ottobre nelle cittadine e nei kibbutz sul confine con la Striscia di Gaza viene aggiornato giorno dopo giorno. Non appena le autorità israeliane hanno elementi sufficienti per identificarli. Ieri sera la lista contava 222 nomi. Ci sono intere famiglie ostaggio nella palude di Gaza. Maayan Sigal-Koren ha cinque parenti rapiti da Hamas. La mamma Clara, 62 anni, una vita spesa come maestra d’asilo e ad assistere gli anziani, il compagno di Clara, Luis, 70 anni, il fratello, Fernando, 60 anni, la sorella Gabriela, 59 anni, – che gestisce una fattoria con progetti di supporto a ragazzi disabili, vicino a Gerusalemme - e la nipote Maya, 17 anni.
La speranza di Maayan
Li hanno rapiti nel Kibbutz Nir Yithak, dove vivevano Clara e Luis e dove gli altri parenti erano in visita in occasione della festa di Sukkot. L’ultimo contatto è avvenuto alle 11.04 del 7 ottobre, dal cellulare di Luis, che comunicava alla figlia di essere chiuso con gli altri nel rifugio antimissile. Fino alle grida in arabo, il rumore degli spari e degli oggetti spaccati per terra. «Sono entrati in casa, speriamo in bene, baci». Nella loro casa non sono state trovate tracce di sangue, l’unica buona notizia per Maayan, che ci parla da un kibbutz a 30 chilometri dal confine con il Libano, dove vive con il marito e i suoi due figli. Il fragile filo di speranza per Maayan, 39 anni e madre di due figli, è appeso anche al fatto che sono ebrei di origine argentina. Hanno tutti e cinque un doppio passaporto. Israeliano ed argentino. Sono quattro finora gli ostaggi rilasciati, una madre e una figlia americane e, ieri sera, due donne anziane. Secondo i media internazionali, si sta raggiungendo un accordo per la liberazione di 50 ostaggi, con doppia cittadinanza.
Il potere della pace
«Innazitutto spero che possano rilasciare tutti gli ostaggi – spiega Maayan Sigal-Koren - Certamente chi ha due nazionalità, può essere aiutato dalle autorità di due Stati, che possono fare ancora più pressione. Spero che lo faccia anche il governo argentino, che ci aiuti a tirare fuori i miei familiari. Non siano una famiglia religiosa, siamo umanisti. Amiamo la gente. E questa è un’altra cosa assurda rispetto a quello che ci è capitato. Siamo tutte persone di pace, crediamo nel potere del cuore delle persone. È così triste che sia accaduto a persone che credono nel bene che c’è nel cuore di ciascun uomo. Mia mamma è un’insegnate di asilo. Da nove anni si occupava degli anziani nel kibbutz, ma ha continuato anche ad aiutare i bambini e i loro genitori. Mia zia Gabriella aiuta i ragazzi disabili in una fattoria vicino a Gerusalemme.
Cosa le dà la forza di sperare in questo momento?
Cerco di tenermi occupata, di mantenermi attiva, perché ho paura di avere un crollo per la cosa terribile che sto affrontando. Cerco di immaginare mia madre, la vedo dare forza agli altri, perché lei è una persona così, la immagino continuare a fare il suo lavoro, in particolare ad aiutare i bambini. Stare con loro, cantare con loro. Coi piccoli e con gli anziani.
Come immagina sua cugina Maya, che ha solo 17 anni?
Maya parla bene l’inglese, perché ha vissuto a Ginevra con la sua famiglia. Quando era piccola, ha partecipato a un programma di aiuto ai bambini disabili. Così anche lei, come mia madre, può di sicuro dare una mano. Mi aiuta tanto anche mio marito. È meraviglioso. Ho poi la fortuna di avere amici vicino, che ci supportano in tutto. Mi cucinano il pranzo, mi aiutano coi bambini e questa settimana ho iniziato anche una terapia psicologica.
Come avete saputo del rapimento e quali aggiornamenti ricevete dalle autorità?
Dopo alcune ore dall’attacco, l’esercito ci ha chiamato e ci ha detto: «Non c’è più nessuno in casa. Hanno preso i cellulari, i laptop, i gioielli. Ci sono i segni delle pallottole sui muri, ma non ci sono tracce di sangue». Per questo spero che non siano feriti. Successivamente l’esercito ci ha informati che sono stati tracciati i loro cellulari dentro Gaza. Abbiamo cercato di riconoscerli dai vari video dei rapimenti, ma senza esito. Io, però, non riesco a vedere quei video orribili, mi fanno troppo male, chiedo ai miei amici di farlo. Devo pensare a preservare la mia salute. Ogni giorno, poi, ci chiama un militare, è una donna, incaricata dal Governo, ci dice se ci sono aggiornamenti, verifica se abbiamo bisogno di aiuto, anche in termini di supporto psicologico. Giorno dopo giorno, sto meglio.
Cosa ha detto ai suoi due figli della nonna?
È stato molto difficile decidere cosa dire loro. Il primo giorno abbiamo detto solo che era scoppiata la guerra e che eravamo preoccupati perché la nonna viveva lì vicino. Hanno cominciato a fare tante domande, abbiamo spiegato che semplicemente non sapevamo dove era la nonna. Non abbiamo voluto che sapessero che era stata rapita. Si sarebbero spaventati troppo. Domenica, però, hanno riaperto le scuole, dopo due settimane di chiusura. Abbiamo immaginato che qualcuno avrebbe potuto parlare degli ostaggi e avrebbero capito da soli. Allora abbiamo iniziato ad esprimere la nostra preoccupazione per il fatto che la nonna potesse essere stata rapita e portata a Gaza. Specie per il più grande, che ha 8 anni, è stata una giornata difficile, ha iniziato ad avere molta paura. Ma già il giorno dopo stava un pochino meglio.
Domenica scorsa il Papa ha parlato al telefono col Presidente americano Biden e ha ripetuto il suo appello per la liberazione degli ostaggi
Non lo sapevo, ma sono grata. Perché davanti a un tale crimine contro l’umanità, spero che tutti coloro che hanno autorità, di qualsiasi genere, per intervenire in qualche modo, la usino per riportare i nostri cari a casa. Sono felice di sapere che anche il Papa sta facendo tutto quello che può.
* giornalista di TV2000 e InBlu Radio
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