Foer: abbiamo perso la capacità di parlare con l'altro. Memorabile l'incontro col Papa
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Una grazia particolare, fatta di gentilezza e intelligenza. È quella che si coglie nel giovane scrittore statunitense Jonathan Safran Foer, tra gli ospiti invitati il 5 ottobre nei Giardini Vaticani, in occasione della presentazione alla stampa dell'Esortazione apostolica Laudate Deum di Papa Francesco. Nelle sue parole il plauso per le raccomandazioni urgenti espresse nel documento pontificio, testo che ha commentato avendo egli all'attivo il saggio Se niente importa, in cui descrive l'impatto ambientale degli allevamenti intensivi, con le sofferenze patite dagli animali da macello, e Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi (We are the Weather, 2019), pubblicato in Italia da Guanda.
Molti sono spaventati dal cambiamento di stili di vita, pensano che vada a discapito di certe libertà acquisite... In realtà, spesso la libertà la si perde proprio restando fermi...
Questa è l’ironia: molte persone hanno paura di cambiare perché credono che ciò li renderà meno felici. È la paura egoista del cambiare. Ti rende più felice dare piuttosto che ricevere. È qualcosa di cui devi fare esperienza per crederci davvero, eppure la crisi climatica ci chiede di prendere meno e dare di più. Ci sono persone che tentano di spaventarci dicendoci che ci saranno privazioni, o che la vita sarà meno piacevole. In realtà la vita diventerà più densa di significato se prendiamo meno e doniamo di più.
Il suo primo libro "Ogni cosa è illuminata" portava in Ucraina attraverso una sua vicenda personale legata a quella terra. Oggi come guarda al conflitto nel Paese?
Ho uno strano legame con l’Ucraina perché sono cresciuto con delle storie che mi raccontavano da piccolo, come quella che raccontava che lì ci fossero gli antisemiti. Quando mia nonna provò a tornare dopo la guerra, le dissero di non tornare perché tutto quello che i tedeschi non erano stati in grado di concludere, lo avrebbero fatto gli ucraini. Allo stesso tempo, fu proprio una famiglia ucraina a salvare mio nonno. Loro rischiarono la loro vita per lui. Dunque, sento di avere un grande debito con l’Ucraina. Sento che non sarei qui oggi se non fosse stato per il coraggio di quella famiglia ucraina. Come ogni nazione, hanno una storia complessa, come l’America, l’Italia, ma ciò che sta succedendo è davvero tragico e il coraggio di Zelensky e in generale di tutta il popolo ucraino è davvero di ispirazione, è qualcosa che noi non abbiamo, forse ci siamo anche dimenticati che sia possibile.
La questione ambientale è un tema che travalica l'appartenenza religiosa...
Ogni religione è basata in qualche modo sul “prendersi cura”, che si tratti del cattolicesimo, dell'ebraismo, dell'islam, del buddismo… Sono fedi impegnate nel riparare il mondo. Il mondo è un posto rotto, danneggiato, ed è nostro compito partecipare alla sua riparazione. Io l’ho imparato attraverso la mia tradizione, ma so che non c’è nulla di speciale in essa in questo senso. Il mondo è rotto in tanti modi ora come ora, a causa della fame, della diseguaglianza economica, a causa del fatto che abbiamo perso la capacità di parlare con l’altro in modo fruttuoso. Il mondo è rotto perché abbiamo dimenticato i nostri doveri nei confronti del prossimo, e infine il mondo è davvero rotto a motivo della nostra relazione con la natura e l’ambiente. Sappiamo cosa dobbiamo fare per partecipare e il Papa ce lo ha ricordato, in un modo che per me è di grande ispirazione ed è molto chiaro: non dimenticare i nostri obblighi.
Come è andato l'incontro con Papa Francesco prima della presentazione alla stampa della Laudate Deum?
È stato un momento davvero memorabile. La cosa più memorabile è stata che c’era mia figlia con me. Il Papa è entrato nella stanza e l’ha salutata, e l’ultima cosa che ha detto, prima di andarsene, è stata “dobbiamo preparare il mondo per lei”. Ed è ciò che ovviamente è nei nostri pensieri, quelli di tutti noi. Sopravviveremo ai cambiamenti climatici. Dobbiamo adattarci ma la verità è che siamo persone molto fortunate, per dove viviamo e per il momento in cui viviamo. Persone che vivono in un diverso luogo del pianeta non sono così fortunate e le persone che vivranno nel futuro non saranno così fortunate. Dobbiamo trovare il modo nei nostri cuori di sostenere le persone che non possiamo vedere. Non saranno così fortunate come noi. Da ciò che abbiamo derivano delle responsabilità.
Come si riflette questa sua spiccata sensibilità personale verso la cura della Casa comune sul suo approccio alla scrittura?
Molto dello scrivere ha qualcosa di magico in sé: lo fai senza provare di farlo, in maniera naturale. Gli scritti di cui vado più fiero non sono quelli su cui ho lavorato con l'intenzione di farlo, ma quelli su cui ho lavorato ispirato da una mente aperta. In questo senso, scrivere ha un qualcosa di religioso, o di spirituale che parte proprio dall’umanità, dall’accettazione che non si può conoscere tutto. Ciò che so di voler dire non è così importante come ciò che imparo a dire. Questo lavoro è sempre attivo. Dunque, quando mi siedo di fronte ad una pagina bianca, chiudo gli occhi e penso a ciò che ho: è un processo in cui si è cambiati dall'ambiente e dalle persone a cui si sta parlando. Tutto contribuisce.
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