Femminicidio, Pellai: servono comunità per educare figli emotivamente solidi
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Da come trattiamo una donna si rivela il nostro grado di umanità”. Sono le parole che Papa Francesco aveva diffuso lo scorso 9 novembre in un messaggio in occasione dell’iniziativa contro la violenza maschile sulle donne organizzata da Radio1Rai & Cadmi D.I.Re. Parole che fanno male se si guarda al numero delle vittime dall’inizio del 2023 in Italia. Con l’uccisione di Giulia Cecchettin, 22 anni, ritrovata sabato senza vita e con ferite da coltellate sulle sponde del lago di Baires, in Friuli, sono 105 le donne uccise per mano dei loro mariti, fidanzati o compagni incapaci di rassegnarsi alla fine di una storia. A colpire nella vicenda c’è la figura di Filippo Turetta, l’ex ragazzo di Giulia, disegnato come un giovane tranquillo, sereno, in procinto di laurearsi. Con il passare dei giorni, la sua immagine è stata poi associata alla mania di controllo di Giulia, all’insistenza nel vederla, ad una gelosia sottile e costante. Oggi è detenuto in Germania dopo essere stato bloccato dalla polizia mentre fuggiva.
Aiutare i ragazzi a costruire relazioni vere
Fa riflettere la giovane età di entrambi e apre profondi interrogativi sull’educazione dei ragazzi, sempre più impegnati a fare, a raggiungere obiettivi da condividere sui social ma in molti casi lontani dalla loro emotività, con genitori che fanno fatica ad accedere ai sogni, ai dolori dei propri figli. Alberto Pellai è uno psicoterapeuta dell’età evolutiva, editorialista di Famiglia Cristiana e scrittore di numerosi libri sulle problematiche dei bambini e dei giovani. In un post su Instagram ha scritto: “Siamo noi padri gli scultori di un nuovo modo di essere maschi e uomini di questo terzo millennio, in cui i nostri figli si trovano spesso sospesi tra il falso mito del vero uomo e il bisogno profondo di diventare uomini veri”. Spunti di riflessione che ribadisce con Vatican News.
Qual è, secondo lei, l'interrogativo più grande che ci deve far riflettere su questa vicenda?
Credo che per noi genitori la domanda più grande sia davvero: cosa vuol dire crescere figli che sanno costruire relazioni competenti e sanno entrare nell'amore per quello che è e non per quello che non è? Questo vale per le nostre figlie - chiaramente questo è un lavoro ampio che è stato fatto anche nell'area della prevenzione della violenza di genere -, cioè devono immediatamente riconoscere se è una relazione disfunzionale, se c'è controllo, se c'è manipolazione, se c'è limitazione del proprio spazio di libertà personale, del proprio progetto di vita. Ma serve tantissimo anche fare un lavoro di educazione emotiva, affettiva sentimentale e sessuale con i nostri figli maschi. Molti dei messaggi che hanno a disposizione li aiutano a capire che non devono essere violenti ma c'è davvero pochissimo invece che entra nella vita dei nostri figli maschi, che li aiuta essere competenti, cioè capire che cos'è una relazione sana, capire che cosa vuol dire. Non entrare nel modello del 'vero uomo' per seguire invece un'identità centrata sul modello dell'uomo vero, cioè un uomo profondamente connesso con i propri bisogni, con i propri stati emotivi.
C’è dunque una mancanza nell’educazione alla relazione, ma c'è anche uno spavento di fronte alla vulnerabilità, spesso la si nasconde perché sentita come una vergogna e che a volte può trasformarsi in sfrontatezza o addirittura sfociare in violenza…
Sì, penso anche che ci sia poi un altro tema grande che è quello di come i nostri figli imparano a maneggiare il dolore, la frustrazione, il fatto che la vita non sempre accade nella logica dei nostri desideri ma ha un suo percorso. Questo è davvero un tema grande che ci riguarda anche come genitori perché noi abbiamo fatto di tutto per costruire condizioni di vita per loro che rispondessero al tema della felicità, del diritto alla felicità, una cosa che chiaramente è sacrosanta nel lavoro che un genitore deve fare per crescere il proprio figlio. Ma dentro a questa ricerca della felicità perfetta, spesso non gli abbiamo invece permesso di saper fronteggiare anche il disagio e il dolore. Ci siamo a volte sostituiti a loro quando il dolore compariva nella loro vita, abbiamo cercato di sistemare noi tutto. Penso che questa sia una riflessione che ci riguarda in prima persona perché crescere un figlio e rendere un figlio felice vuol dire anche attrezzarlo nei confronti della sorte avversa, del disagio che non ti aspetti e che possa comparire dentro la tua vita, delle fatiche, delle frustrazioni che possono avvenire. Davvero credo che un abbandono d’amore procuri un dolore, una tristezza che ti obbliga a rimanere profondamente in contatto con te stesso e con un dolore che devi imparare ad attraversare e non a cancellare, su cui occorre avere competenza emotiva e non potenza per cui con la forza sistemo le cose come voglio io.
Papa Francesco ha fatto sempre appello ad un "Patto educativo" che è necessario sancire tra diversi attori che si occupano di educazione, adesso se ne sta parlando molto anche in Italia con un'alleanza tra genitori, scuola. Secondo lei qual è la strada che si può perseguire per riuscire davvero a non avere, di nuovo, un'altra storia come quella di Giulia?
Penso che da una parte dobbiamo davvero allearci come comunità educante, sentire che scuola, famiglia, agenzie educative del territorio lavorano insieme. In questo credo che le parole del papà di Giulia nel momento in cui ha sentito anche la sofferenza della famiglia di Filippo, e il fatto che ieri le due famiglie fossero insieme nella stessa manifestazione in memoria della ragazza, mi sembrano un messaggio in cui la comunità adulta effettivamente sente che il miglior modo per proteggere la crescita dei propri figli è rimanere unita, rimanere alleata, tenere alto lo sguardo sulle cose che davvero contano e importano. E poi penso che nel percorso di crescita per i nostri figli, effettivamente ci debba essere un'educazione a saper essere. Noi li formiamo ad avere tantissime competenze per stare dentro al mondo globale: imparano le lingue, imparano un sacco di cose ma poi li troviamo fragilissimi quando il tema non è che cosa sai, o che cosa sai fare ma è come sei e come sai essere. Questo comporta davvero un’attenzione a bisogni che sono più complessi, più profondi, proprio interiori e nella nostra interiorità c'è un cuore, c'è una mente, c'è un'anima quindi dovremmo proprio rinforzare i presidi educativi del cuore, della mente e dell'anima.
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