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Italo Calvino e le sue storie dipinte di parole

Nel centenario dalla nascita del grande scrittore, è in corso, alle Scuderie del Quirinale di Roma, la mostra “Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte. Carpaccio, de Chirico, Gnoli, Melotti e gli altri”, curata da Mario Barenghi: "abbiamo voluto mostrare il suo immaginario, l'immaginario visuale, perché è stato lui stesso a dichiarare che all'origine dei suoi racconti c'è sempre un'immagine"

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Italo Calvino è sicuramente uno degli scrittori più amati e letti dei nostri tempi, soprattutto da chi vive a cavallo tra i due ultimi secoli e ha visto cambiare i tempi in modo vertiginoso. Uno scrittore capace di interpretare e riassumere in modo armonico le contraddizioni delle esistenze individuali e al contempo farsi capire da tutti, giovani e non. I suoi scritti sono sempre attraversati da un’ironia malinconica, dal gusto del paradosso, e il suo stile è sempre scorrevole, confidenziale, mai banale, sempre sorprendente. Un intellettuale che ha anche cambiato le regole della critica letteraria e dell’editoria, basti pensare alle sue straordinarie quarte di copertina per Einaudi.

Sezione della mostra dedicata ai ritratti di calvino. Foto Alberto Novelli
Sezione della mostra dedicata ai ritratti di calvino. Foto Alberto Novelli

Rappresentare l’invisibile delle parole con il visibile delle immagini

1923-2023: è passato un secolo dalla nascita di Calvino. Nell’occasione, a Roma, presso le scuderie del Quirinale, è stata allestita la mostra “Favoloso Calvino”, visitabile fino al 4 febbraio 2024, curata da Mario Barenghi. Si tratta di una mostra multiforme, simile a un percorso in bilico tra realtà e fantasia, proprio come la sua produzione letteraria, tenendo conto che oltre alla narrativa ci sono anche articoli, carteggi, diari. Una mostra, inoltre, complessa perché si è trattato di rappresentare l’invisibile delle parole attraverso il visibile delle immagini, esaltando una delle caratteristiche calviniane per eccellenza: lo stretto rapporto della sua scrittura con la rappresentazione del visuale.
La mostra romana si inserisce nel progetto delle celebrazioni del centenario insieme a quella a Palazzo Ducale di Genova, “Calvino cantafavole”, curata da Eloisa Morra e Luca Scarlini.

Calvino nello specchio, s.d., Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, Fondo Calvino
Calvino nello specchio, s.d., Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, Fondo Calvino

L’albero e le sue radici

Ad accogliere il visitatore, nella prima sala, è l’installazione di legno e cartone, simile all’intrico di una foresta magica, opera di Eva Jospin. Da qui, attraverso i due piani e le stanze delle Scuderie, si ripercorre la vita dello scrittore, dalla nascita, il 15 ottobre 1923 a Santiago de las Vegas di Cuba: le amicizie e le letture fondamentali dell’adolescenza, quelle che non si dimenticano e si radicano nel profondo di sé, come, per Calvino, i romanzi di Kipling e di Stevenson e ancora il cinema, con il suo verosimile mondo parallelo che contrappone la natura all’artificio.

Allestimento della libreria delle Scuderie con cartonati di Emanuele Luzzati
Allestimento della libreria delle Scuderie con cartonati di Emanuele Luzzati

Atlanti immaginari

Calvino è italiano come i genitori: Mario, botanico e agronomo sanremese, ed Eva Mameli, naturalista sassarese. Lasciano Cuba e tornano in Italia quando Italo ha ancora due anni. Si stabiliscono in Liguria, regione aspra e dolce insieme, che lascerà la sua impronta fascinosa su Calvino, nonostante i soggiorni a Torino, Firenze e Roma e i viaggi, non tantissimi, ma “utili” per dirla come Céline, soprattutto in America, Paese che amò molto. I suoi luoghi immaginati sono invece molti e così minuziosamente descritti da aver spinto alcuni artisti a volerli rappresentare graficamente, come Pedro Cano e i suoi acquerelli che immaginano Le città invisibili.

Pedro Cano, Fedora, da Le città invisibili, acquerello su carta, Blanca, Fundación Pedro Cano
Pedro Cano, Fedora, da Le città invisibili, acquerello su carta, Blanca, Fundación Pedro Cano

Memorie e riferimenti

Tra le opere grafiche e scultoree, nella mostra sono esposte anche alcune di epoche più antiche, come il San Giorgio che uccide il drago del Carpaccio (1516); l’arazzo franco-fiammingo millefiori di XVI secolo; un’armatura da campo intera, lucida e pesante della metà del XV secolo, appartenuta a Federico I il Vittorioso; un manoscritto di Gualtiero Anglico, Fabulae, datato tra XIV e XV secolo e ancora opere più recenti come quelle di Giorgio De Chirico, Luigi Ghirri, Fausto Melotti e tanti altri.

Carlo Gajani, Italo Calvino in Ritratto - Identità - Maschera, 1976, Bologna, Fondazione Carlo Gajani
Carlo Gajani, Italo Calvino in Ritratto - Identità - Maschera, 1976, Bologna, Fondazione Carlo Gajani

Opere che dialogano con l’immaginario calviniano, quello dei suoi scritti, ma anche con la sua stessa fisionomia, fissata nei ritratti, negli scatti fotografici o distorta nelle caricature e negli autoritratti-caricatura. Infine, le copertine dei suoi libri, come recita il catalogo Electa, “mai casuali, mai secondarie, specie nel caso degli amati Klee e Picasso”, artisti presenti anch’essi alle Scuderie.

Mark Dion, Between Voltaire and Poe, 2016 Meuble en bois, boites à cigarettes, figurines, plastique, bocaux et bibelots Mark Dion & Galerie In Situ-fabienne leclerc, Grand Paris Photo: Rafaele Fanelli
Mark Dion, Between Voltaire and Poe, 2016 Meuble en bois, boites à cigarettes, figurines, plastique, bocaux et bibelots Mark Dion & Galerie In Situ-fabienne leclerc, Grand Paris Photo: Rafaele Fanelli

Barenghi: Calvino e la relazione parola - immagini

Curatore della mostra e del catalogo è Mario Barenghi, docente di Letteratura italiana contemporanea all'Università di Milano-Bicocca, uno dei maggiori studiosi dell’opera di Calvino, autore di molti saggi e curatore di edizioni prestigiose. Il professore, con Radio Vaticana – Vatican News, ha condiviso alcune riflessioni.

Ascolta l'intervista a Mario Barenghi

Professor Barenghi, la mostra in corso alle Scuderie del Quirinale è dedicata a Italo Calvino nel centenario della nascita e lei ne è il curatore. Partiamo dal titolo che già di per sé è suggestivo: Favoloso Calvino. C'è un motivo particolare nella scelta di questo aggettivo?

Favoloso è un aggettivo che può essere interpretato in più modi. Innanzitutto può significare straordinario e questo è un riferimento al successo che Calvino ha riscosso presso ormai molte generazioni di lettori che hanno letto con passione i suoi libri. Favoloso poi nel senso anche di favolista. Calvino è autore di testi fantastici e di fiabe nel senso più specifico della parola. Peraltro Favoloso Calvino è anche un omaggio o un prestito da Gore Vidal, scrittore americano che nel 1974 pubblica un saggio con questo titolo, Fabulous Calvino, che è importante nella storia della ricezione di Calvino in America, un saggio uscito a breve distanza dalla traduzione in inglese delle Città invisibili.

Cantacronache 1, 33 giri, Albatros Folk Music Revival, 1958, Milano, Kollezione Andrea Kerbaker / Kasa dei Libri
Cantacronache 1, 33 giri, Albatros Folk Music Revival, 1958, Milano, Kollezione Andrea Kerbaker / Kasa dei Libri

Qual è il “filo di Arianna” della mostra? E qui ci riallacciamo al labirinto, uno dei simboli di Calvino. Come è stata concepita, ovvero: quale criterio ha ritenuto più giusto seguire per delineare una figura così complessa e allo stesso tempo così lieve, leggera?

La mostra ha un impianto, uno scheletro di tipo biografico perché si parte dalla formazione di Calvino e si arriva fino alle ultime opere. È soltanto una struttura portante su cui si innestano tematicamente le varie zone dell'opera di Calvino e le varie stagioni. Bisogna dire che si tratta di uno scrittore molto vario, che sperimenta vari tipi di narrativa, testi differenti e lavora contemporaneamente a più opere, quindi offre molte possibilità di approccio. Credo questa sia anche una delle ragioni della sua fortuna. Ognuno può trovare, può trovarsi il Calvino che vuole: il Calvino realista, il Calvino fiabesco, il Calvino più riflessivo, il Calvino più giocoso. Poi c'è anche una parte importante della sua produzione dedicata al pubblico più giovane. Un certo grado di leggerezza, diciamo così, era garantito a priori dalla varietà di esperienze che Calvino ha compiuto.

Mark Dion, Between Voltaire and Poe, 2016 Meuble en bois, boites à cigarettes, figurines, plastique, bocaux et bibelots Mark Dion & Galerie In Situ-fabienne leclerc, Grand Paris.  Foto di  Rafaele Fanelli
Mark Dion, Between Voltaire and Poe, 2016 Meuble en bois, boites à cigarettes, figurines, plastique, bocaux et bibelots Mark Dion & Galerie In Situ-fabienne leclerc, Grand Paris. Foto di Rafaele Fanelli

Parlando dei temi, quali sono i capisaldi? Ad esempio luogo reale, luogo immaginario… In particolare lei cosa ha preferito scegliere per illustrare meglio un'attività letteraria, culturale e la stessa vita di Calvino così tanto diversificate e poliedriche?

Nella mostra ci sono dei riferimenti ai luoghi reali, quelli che Calvino ha abitato, Liguria, Sanremo, un certo tipo di paesaggio. E poi Torino, la città industriale, la modernità e ancora, Parigi, Roma. Ci sono quindi i luoghi reali, compresi i luoghi dei viaggi che Calvino ha compiuto.
Come ho scritto nel catalogo, Calvino non è stato in senso stretto un grande viaggiatore. Forse il padre Mario, tenendo conto anche della differenza anagrafica, è stato più viaggiatore del figlio, tuttavia ne compì di importanti negli Stati Uniti, in particolare il primo, quello del 1959 - 60, e poi in Iran, in Giappone, in Messico. Ci sono i luoghi immaginari, i luoghi proiettati, creati dalla fantasia. C'è tutta la zona “cosmicomica” che è un dialogo con il mondo delle scienze, con immagini fornite dalla ricerca scientifica, astronomica. E infine ci sono i luoghi rappresentati dalle opere d'arte. In questa mostra ci sono autografi, illustrazioni di copertina, molte fotografie, ritratti e soprattutto opere d'arte.

Una sala della mostra. Foto Alberto Novelli
Una sala della mostra. Foto Alberto Novelli

Il visitatore della mostra cosa troverà oltre alle opere d’arte, ma soprattutto: lei cosa ha voluto “far vedere” con questa mostra?

È una mostra su uno scrittore, qualcosa di un po’ anomalo, di strano. In una mostra di pittura si espongono i quadri dell’artista. Una mostra dedicata a uno scrittore, invece, è un po’ più complicata, perché è ovvio che lo scrittore produca libri, ma non è che si possano far vedere le pagine dei libri. Si possono mostrare alcune pagine manoscritte che sono interessanti per vedere come lavorava l'autore, si possono far vedere le copertine dei libri. Però questa mostra non è né una mostra sugli autografi calviniani, né una mostra sulla grafica della casa Einaudi, che pure sarebbe interessante anzi, per la verità, questa mostra è stata già fatta anni fa. Non è nemmeno, in senso stretto, una mostra d'arte o sui rapporti fra Calvino e l'arte, anche se si tratta di un tema molto importante perché, soprattutto da un certo punto in poi, Calvino scrive parecchi testi dedicati a pittori contemporanei. E poi ci sono opere d'arte che sono esplicitamente, intenzionalmente ispirate a Calvino.

Vittore Carpaccio, San Giorgio che uccide il drago e quattro scene del suo martirio, 1516, olio su tela, cm 180 x 226, Venezia, Abbazia di San Giorgio Maggiore, Benedicti Claustra Onlus. Foto Alberto Novelli
Vittore Carpaccio, San Giorgio che uccide il drago e quattro scene del suo martirio, 1516, olio su tela, cm 180 x 226, Venezia, Abbazia di San Giorgio Maggiore, Benedicti Claustra Onlus. Foto Alberto Novelli

Tra queste, due nuove, una di Emilio Isgrò e una di Giulio Paolini e anche opere d'arte che a nostro avviso possono evocare aspetti dell'universo calviniano. Il nostro obiettivo era di riuscire a mostrare l'immaginario di Calvino, l'immaginario visuale, che in lui riveste sicuramente un ruolo molto importante. È stato lui stesso a dichiarare che all'origine di ogni sua invenzione c'è un'immagine.
Questa affermazione si potrebbe estendere, oltre che alla trilogia dei Nostri antenati, anche ad altri suoi scritti. Calvino è un autore molto visivo e lo dichiara anche in uno scritto, recensendo un bel libro di Ruggero Pierantoni sulla storia della visione [L’occhio e l’idea (1982)], scrive che “il cervello comincia nell'occhio”, cioè dallo sguardo, si comincia a capire il mondo.

Luigi Serafini, Pagina del Codex Seraphinianus, 1977 disegno a matita colorata e inchiostro di china su carta pubblicato nel 1981, Franco Maria Ricci Editore, Parma
Luigi Serafini, Pagina del Codex Seraphinianus, 1977 disegno a matita colorata e inchiostro di china su carta pubblicato nel 1981, Franco Maria Ricci Editore, Parma

Quindi questa relazione così stretta tra parola e immagine alla fine si traduce anche in simboli proprio fisici, visibili. Quali sono i simboli più importanti di Calvino, secondo lei?

I simboli più importanti direi che sono l'albero, la foresta, la città. La foresta e la città sono, dal punto di vista dell'organizzazione spaziale, dell'organizzazione topologica, per certi versi sovrapponibili. In entrambi i casi abbiamo un intrico di percorsi, una serie di incroci, quindi possibilità di incontri, di sperdimenti, di avventure. C'è una corrispondenza funzionale tra la foresta e il bosco delle fiabe o dei racconti di invenzione e la città dei racconti realistici. L'albero è però anche emblema di una distanza dal suolo. Viene in mente subito Il barone rampante, una distanza dal suolo che è secondo me, che ha un valore particolarmente cruciale perché Calvino è diventato Calvino, è maturato come uomo e come scrittore, attraverso un'esperienza molto coinvolgente che è quella della guerra partigiana. Una stagione per molti riguardi eccezionale. Negli anni successivi, in particolare dopo l’uscita dal Partito Comunista Italiano che, come tutti sanno, è avvenuta dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria, Calvino ha continuato a porsi il problema della distanza più opportuna alla quale situarsi rispetto alle varie situazioni che si ponevano. Il barone rampante è in fondo un discorso sulla distanza. Quanto vicino, quanto lontano bisogna stare rispetto agli eventi per comprenderli, per partecipare senza esserne inghiottiti, per mantenere una propria autonomia di visione e di giudizio anche nelle fasi più complicate. Questo discorso sulla distanza torna anche in opere successive per esempio è al centro delle Città invisibili, un libro che assomiglia molto a una raccolta di poesie ed è stato Calvino stesso a dirlo. Al centro delle Città invisibili c'è una città che non si vede perché si trova in cima ad altissimi trampoli e gli abitanti, a quanto pare, guardano il mondo contemplando la propria assenza.
[Cosimo, il protagonista, da ragazzino, dopo uno screzio con il padre -non voler mangiare un piatto di lumache- decide di vivere sugli alberi e di non scenderne mai più ndr]

Tullio Pericoli, Italo Calvino, 1987, acquerello e china su carta, mm 570 x 380, Bologna, collezione privata © Tullio Pericoli
Tullio Pericoli, Italo Calvino, 1987, acquerello e china su carta, mm 570 x 380, Bologna, collezione privata © Tullio Pericoli

Il rapporto con la natura, che è uno dei discorsi più urgenti dell’attualità, lo stesso Papa Francesco ne parla incessantemente. Calvino si era occupato di botanica, quindi la natura la conosceva bene. Ma secondo lei, Calvino che rapporto aveva con la natura?

In realtà Calvino non è che sapesse tantissimo del mondo vegetale. Era cresciuto in una famiglia in cui l'interesse dominante era per le piante e per la botanica: il padre era agronomo e la madre botanica - la madre tra l'altro è stata la prima donna in Italia a insegnare botanica all'università, fondatrice dell'orto botanico dell'Università di Cagliari, una figura molto, molto interessante e molto, molto attuale, per tanti versi da riscoprire. Possiamo dire che Calvino sapeva mediamente più cose di una persona qualunque, ma non è che avesse una particolare competenza, tant'è che ogni tanto la madre gli correggeva degli errori. Quello che Calvino assimila dall'ambiente familiare mi pare sia piuttosto una sensibilità generale per l'ambiente, cioè una sensibilità, potremmo dire ecologica ante litteramAnte litteram non in senso rigoroso, perché la parola ecologia è stata coniata nella seconda metà dell'Ottocento ed è entrata nell'uso in Italia soltanto a partire dagli anni 70. Calvino aveva già scritto libri come La speculazione edilizia, La nuvola di smog, in cui parla di problemi fondamentali del rapporto con l'ambiente che oggi sono presenti alla coscienza di tutti, ma allora erano sicuramente aspetti nuovi. Dopodiché non perdo l'occasione di ricordare, perché è un brano al quale per molti anni ho non ho dato l'importanza che secondo me merita, la pagina del Barone rampante nei capitoli finali in cui Cosimo Piovasco di Rondò, già in là con gli anni - siamo nel declino dell'era napoleonica -concepisce una Dichiarazione dei diritti: "Una Dichiarazione degli uomini, delle donne, dei bambini, degli animali sia domestici sia selvatici, inclusi gli uccelli, i pesci, gli insetti e delle piante, sia d'alto fusto sia degli ortaggi ed erbe". È una cosa straordinaria. Siamo nel 1957, questa è una professione di rispetto e di attenzione per il vivente in quanto tale, dove l'uomo è parte della natura, è esso stesso natura. Siamo immersi in una rete infinita di relazioni con tutti gli altri organismi animali e vegetali e quindi l'idea che ciascuna specie abbia dei diritti e a ciascuna specie debbano essere riconosciuti dei diritti, mi sembra molto bello e molto attuale.

Emanuele Luzzati, Il visconte dimezzato, illustrazione per Il visconte dimezzato, 1975, pennarello, matita e collage su carta, mm 330 x 480, Genova, Archivio generale opere, Lele Luzzati Foundation - Casa Museo / © Lele Luzzati Foundation
Emanuele Luzzati, Il visconte dimezzato, illustrazione per Il visconte dimezzato, 1975, pennarello, matita e collage su carta, mm 330 x 480, Genova, Archivio generale opere, Lele Luzzati Foundation - Casa Museo / © Lele Luzzati Foundation

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10 dicembre 2023, 12:00