Haiti, scontri a fuoco a Port-au-Prince: stranieri intrappolati nel Paese
Paola Simonetti – Città del Vaticano
L’intento delle violente gang che tengono banco ad Haiti era probabilmente conquistare uno dei simboli politici e amministrativi della capitale, il Palazzo Nazionale nel centro di Port au Prince. Questo ha condotto a scontri a fuoco che hanno interessato, nelle scorse ore, anche luoghi nevralgici della città, dove il governo ha deciso di estendere lo stato di emergenza e il coprifuoco per fare fronte agli attacchi delle bande, inizialmente previsto di tre giorni. L’escalation di violenza è esplosa dal 28 febbraio scorso, quando il primo ministro Ariel Henry, attualmente a Porto Rico, si era detto impegnato a tenere le elezioni entro la fine di agosto 2025. Gli scontri hanno raggiunto il loro apice sabato scorso, quando le bande hanno fatto irruzione nelle due principali prigioni della capitale, permettendo a più di 3.000 detenuti di fuggire.
Chiusa ogni via di fuga
Nel caos generale, con la popolazione locale che viene cacciata dalle proprie case e dunque costretta a rifugiarsi in luoghi di fortuna, c’è anche la pericolosa situazione dei cittadini stranieri, costretti a barricarsi in alberghi e abitazioni. Si tratta di missionari, di operatori umanitari, ma anche di persone interessante alle adozioni, incapaci di lasciare il Paese con le bande armate che hanno chiuso ogni via, compresi gli aeroporti, con porti e strade assediati.
L'azione della Comunità dei Caraibi
E mentre alcuni militari del Kenya si rifiutano, per motivi di sicurezza, e nonostante gli accordi internazionali del febbraio scorso, di intervenire con rinforzi militari per ristabilire l’ordine, la Comunità dei Caraibi ha organizzato una riunione a Kingston, in Giamaica, lunedì 13 marzo, per discutere della crisi sull’isola e di un possibile processo di transizione, alla quale parteciperà anche l'Onu, con il concreto obiettivo di "creare il sostegno per il ripristino delle istituzioni democratiche ad Haiti il più presto possibile".
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