Lavoro forzato sempre più redditizio: introiti miliardari dallo sfruttamento di individui
Paola Simonetti - Città del Vaticano
La schiavitù da lavoro è un affare sempre più goloso per le organizzazioni criminali, che lucrano senza rischio di crisi su esseri umani fragili. Dal 2014 i profitti da impiego forzato hanno infatti visto un aumento di 64 miliardi di dollari, con un ammontare oggi di circa 236 miliardi all’anno. A denunciarlo è il recente rapporto dell’Oil “Profitti e povertà: la dimensione economica del lavoro forzato”, che sottolinea come solo nel 2021 erano 27 milioni e mezzo le persone coinvolte giornalmente in attività lavorative vessatorie a salario simbolico o assente, ovvero più di 3 ogni mille individui. L’aumento delle vittime, rispetto al 2016, è stato di 2,7 milioni.
I settori a più alto sfruttamento umano
L’attività sessuale forzata a fini commerciali è una fetta di più di due terzi del totale, ovvero il 73%, nonostante rappresenti solo il 27% del numero generale di persone vessate dal lavoro imposto da privati. Ma ambiti in cui l’impiego si traduce spesso in schiavitù sono anche l’industria, il settore dei servizi, dell’agricoltura e quello domestico. I profitti illegali totali annuali vedono in testa Europa e Asia centrale, ma non risparmiano Asia e Pacifico, Americhe, Africa e Paesi arabi. L’indagine stima che i trafficanti e i criminali guadagnino quasi 10 mila dollari per vittima, rispetto agli 8.269 dollari di dieci anni fa.
Le azioni urgenti da concretizzare
Il fenomeno, dunque, è in progressivo peggioramento, sottolinea l’Oil, e i provvedimenti per arginarlo devono essere solleciti e mirati. “La comunità internazionale - ha affermato il direttore generale dell’Oil, Gilbert F. Houngbo - deve urgentemente unirsi per porre fine a questa ingiustizia, salvaguardare i diritti dei lavoratori e sostenere i principi di equità e di uguaglianza per tutti”.
Cruciali si rivelano, secondo l’indagine, “investimenti nella realizzazione di misure per arginare i flussi di profitti illegali e per punire i colpevoli. Ma in campo occorrono anche un rafforzamento del quadro normativo, formazione per i funzionari delle forze dell’ordine estendendo l’ispezione del lavoro ai settori ad alto rischio e migliorare il coordinamento tra le autorità responsabili per il lavoro e quelle penali”. Tuttavia, tutto questo potrebbe non essere sufficiente, sottolinea l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro, se le azioni di contrasto non faranno riferimento “ad un approccio globale che dia priorità alla comprensione delle cause profonde di questo scenario e alla protezione e tutela delle vittime”.
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