Africa, l’associazione Lvia lancia una nuova fase del progetto “Acqua è vita"
di Roberto Paglialonga
Oggi, secondo le Nazioni Unite, ancora 2 miliardi e 200 milioni di persone nel mondo non hanno acqua potabile; addirittura 3 miliardi e mezzo, quasi la metà della popolazione mondiale, non hanno servizi igienici. Numeri scioccanti, che lasciano a bocca aperta. A maggior ragione chi, l’acqua, è abituato vederla scorrere dal rubinetto di casa, a usarla senza alcun pensiero, perfino a sprecarla. Le risorse idriche sono sempre più al centro di conflitti tra nazioni, in una terra che diviene via via più arida e, spesso, inquinata.
Dopo 10 anni di azioni che, in Africa, hanno consentito l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici a circa un milione di persone con interventi per un valore di 10 milioni di euro, quest’anno, in occasione della “Giornata mondiale dell’acqua”, Lvia (Associazione internazionale volontari laici) — organizzazione della società civile italiana, nata a Cuneo, in Piemonte, nel 1966 e attiva da oltre 50 anni nel continente — ha deciso di lanciare una nuova fase della sua ventennale campagna “Acqua è vita”. Essa fu promossa per lo sviluppo in Africa di progetti di cooperazione per la realizzazione di pozzi, fontane, latrine e altre infrastrutture utili per il consumo personale e familiare, nonché per l’agricoltura. Il nuovo step prevede ora di dedicarsi in particolare all’Obiettivo di sviluppo sostenibile numero 6 (“Acqua e igiene”) delle Nazioni Unite. Lo scopo è cercare di garantire un accesso sostenibile alle risorse idriche e ai servizi igienici a 500.000 persone in 5 anni nelle regioni sub-sahariane, coinvolgendo cittadini, imprese e organizzazioni in specifici interventi e nella raccolta fondi (la previsione è che siano necessari almeno 3 milioni di euro). Per diventare, insomma, “una borraccia” per l’Africa.
«L’impegno sull’acqua è uno dei più importanti e allo stesso tempo maggiormente disattesi dalla comunità internazionale», afferma Alberto Valmaggia, già sindaco di Cuneo e oggi presidente di Lvia, che è anche parte del network Focsiv. Ma «come ci ricordano quest’anno le Nazioni Unite», si tratta «di un impegno per la pace. Non possiamo lasciarlo cadere nel vuoto» proprio adesso, «con la situazione di pace tragicamente violata che il mondo sta vivendo», dice ancora. La mancanza di servizi igienici ha conseguenze drammatiche: dagli elevatissimi rischi di malattie e infezioni, al disincentivo a frequentare la scuola per le ragazze adolescenti, alle difficoltà nelle produzioni agricole e industriali che comportino l’utilizzo di acqua. Una condizione determinata da una carenza di strutture adeguate e aggravata dai fenomeni meteo-distruttivi, come inondazioni e siccità, che il cambiamento climatico ha reso più frequenti, soprattutto nelle zone tropicali. Per questo, Lvia punta a migliorare la qualità della vita delle persone — in particolare dei bambini — e della loro alimentazione, liberando così per lo studio anche quel tempo altrimenti necessario per assicurare la fornitura giornaliera. Le attività mirano a essere inserite inoltre nel quadro del contrasto ai cambiamenti climatici e della tutela del creato.
Fondamentale diventa pertanto coniugare la realizzazione di infrastrutture nei Paesi in cui la situazione è più grave con iniziative politiche che portino a un impegno più diffuso tra i decisori pubblici. Da qui il tentativo di far partecipare al progetto tutte le componenti della società civile — non solo le persone singole, i gruppi o le scuole, che in un buon numero hanno aderito negli anni agli appelli lanciati dalla ong piemontese — coinvolgendo anche il mondo delle imprese attive nel contenimento del proprio impatto ambientale. Lvia rilascerà a chi vi aderirà dei «certificati idrici»: documenti, cioè, che — spiega una nota — «certificheranno» le realizzazioni in Africa e potranno essere usati dalle aziende nei propri bilanci di sostenibilità per dimostrare il proprio commitment in favore del pianeta. Sono molte infatti le aziende «attente al tema della sostenibilità» che cercano «opportunità per offrire il proprio contributo», dice Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università Statale di Milano e segretario generale dell’associazione. La speranza è che «una collaborazione volta a ridurre una disuguaglianza così scandalosa come quella dell’accesso all’acqua e ai servizi igienici» possa essere «una modalità virtuosa per tradurre quella sensibilità in azione concreta nella prospettiva dell’Agenda 2030».
Gli interventi prevedono la realizzazione o riabilitazione di infrastrutture idriche, con punti d’acqua, acquedotti rurali, pozzi e sistemi di stoccaggio; la formazione tecnica e gestionale; il miglioramento dell’accesso ai servizi igienici, soprattutto in scuole e centri sanitari; nonché, in caso di malattie come il colera, attività di emergenza per il trattamento dell’acqua con kit di purificazione e disinfezione.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui