Gerusalemme il giorno dopo l'attacco iraniano, tra strade sgombre e paura
Roberto Cetera - Gerusalemme
Le strade di Gerusalemme apparivano ieri mattina decisamente più sgombre che nelle altre domeniche, qui primo giorno lavorativo della settimana. Probabilmente più per stanchezza che per timore di nuovi attacchi aerei. In effetti nessuno ha dormito sabato notte, chi svegliato dalle esplosioni che hanno riguardato diversi punti della città, chi perché rimasto incollato fino all’alba, anche dopo che la delegazione iraniana all’Onu aveva dichiarato la fine dell’attacco, a seguire su televisioni ed internet una notte di tensione che rimarrà nella storia di Israele, e in particolare di Gerusalemme.
Infatti mai ci si sarebbe aspettato che i vetri della Città vecchia potessero tremare per le esplosioni causate dagli intercettatori di Iron Dome contro i droni e missili lanciati da Teheran e dai suoi alleati. Le scie luminose e tuonanti sulla cupola dorata della Roccia nella Spianata delle Moschee – Monte del Tempio sono divenute iconiche di questa notte di paura e rapidamente diffuse dalle tv di tutto il mondo. Poi, concluso l’attacco già dopo le 2:30 locali si è potuta meglio comprendere la reale portata delle incursioni aeree, ridimensionandone gli effetti e l’efficacia, soprattutto grazie all’eccellente funzionamento del sistema di protezione aerea di Israele. La mattina, tra le poche persone che pure si incontravano, regnava in effetti un clima di soddisfazione, in entrambe le aree della città.
Il paradosso del day after di questo nuovo capitolo del conflitto mediorientale è proprio che tutti oggi si intitolano una vittoria. Canti e balli a Tel Aviv come a Teheran. Soddisfatti gli israeliani per aver contenuto senza eccessivi danni l’attacco iraniano (alla fine sarebbero limitati al ferimento grave di una bambina beduina di sette anni, e al danneggiamento parziale di una base aerea nel Negev). Soddisfatti gli iraniani per aver dato una “lezione” ad Israele, vendicando l’uccisione in Siria del generale dei pasdaran Razi Moussavi (tra l’altro, è la prima volta che l’Iran conduce un’operazione militare contro Israele, senza intermediari e dal proprio suolo). Un attacco dunque dal grande segno politico ma di scarso peso militare, come forse pure era nelle intenzioni degli ayatollah, che non sembrano interessati ad un ulteriore escalation del conflitto. E soddisfatti anche i palestinesi, che da un lato non hanno mancato di apprezzare l’attacco contro il comune “nemico” – nel quartiere musulmano della Città vecchia il rumore delle esplosioni era echeggiato dal suono dei clacson e da grida di approvazione – ma dall’altro temevano le ripercussioni che si sarebbero scatenate contro di loro se gli effetti delle incursioni aeree fossero stati più tragici. Soprattutto nei territori occupati della Cisgiordania dove la tensione è tornata drammaticamente a salire negli ultimi giorni intorno agli insediamenti illegali di Israele.
Significativo è stato il ruolo del presidente americano, Joe Biden. Da un lato è riuscito, sia militarmente che politicamente, a contenere in termini non dirompenti l’offensiva iraniana, e dall’altro – secondo quanto riferito dal The New York Times – sarebbe riuscito a convincere il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a non replicare a sua volta con un contrattacco. Nelle prossime ore si capirà se il confronto tra Iran e Israele rientrerà nei ranghi di una “normalità” fatta di un quotidiano scambio di razzi ai confini del Libano.
Due notizie infine da parte cristiana. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, che era atteso oggi a Roma per la presa di possesso del titolo di sant’Onofrio, ha deciso di rimanere nella diocesi ed ha rimandato a data da definirsi la cerimonia. Prosegue intanto la visita in Terra Santa del cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan, che ieri sera ha incontrato a Ramallah il presidente palestinese, Mahmoud Abbas. Nell’incontro il cardinale ha ribadito l’importanza della posizione della Santa Sede nel sostenere la proposta dei “due popoli in due Stati” come l’unica opzione possibile per una soluzione definitiva del conflitto, come riaffermato ieri mattina al Regina Coeli da Papa Francesco. Tra i temi trattati anche il ruolo della Pontifical Mission per la Palestina e i rapporti tra la Chiesa cattolica statunitense e il Palestinian American Council, che vede al suo interno una preminente presenza di cristiani palestinesi emigrati negli Usa.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui