Ricerca Censis: solo la relazione accresce l’individuo
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
È un paradosso quello che emerge dal dossier Censis “La tentazione del tralasciare”. Individualismo e autoreferenzialità caratterizzano la società contemporanea i cui componenti sono però soggetti estremamente fragili. L’indifferenza si ritorce contro sé stessa e l’unico vincitore sembra essere il peccato di omissione nei confronti degli impegni collettivi e, in fin dei conti, della promozione umana. A 50 anni dal convegno su “I mali di Roma” svoltosi nel febbraio 1974 e a 25 dalla morte di monsignor Clemente Riva, che ne fu uno degli animatori, i temi dell’indolenza, della noncuranza, dell’attitudine a rimandare o a voltarsi dall’altra parte, caratterizzanti purtroppo la vita della capitale italiana, sono stati al centro della presentazione della ricerca Censis “Ripartiamo da febbraio ‘74”.
Significativa la sede in cui si è svolto il dialogo moderato da monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale universitaria del Vicariato di Roma: la basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso retta dai padri rosminiani e dove visse a lungo monsignor Riva. “Scelse di restare in comunità, fratello fra i fratelli, ma autorevole nei momenti in cui la carità lo richiedeva” e pienamente rosminiano nella convinzione che la presenza della Chiesa fosse “presenza che forma coscienze capaci di scelte coerenti con la fede e la ragione”, ha ricordato il rettore don Pierangelo Giroli nei saluti introduttivi.
I dati della Ricerca Censis
A riflettere sulle possibili vie d’uscita dalla tentazione dell’indifferenza sono intervenuti il presidente del Censis Giuseppe De Rita e il capo dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno Laura Lega. Il punto di partenza è la fotografia scattata dalla Ricerca secondo la quale al 70 percento degli intervistati non piace la società in cui vive; al 32 percento non interessa far parte di una comunità, non se ne sente parte e non ne ha nostalgia. Il 48 percento, inoltre, percepisce di contare poco nell’ambiente in cui vive e crede che, tutto sommato, nella vita vinca la casualità. Tuttavia il 54 percento delle risposte proviene da chi sostiene di aver trovato un senso nella vita. Non manca l’ottimismo: il 65 percento degli interpellati – tra questi anche persone anziane - ritiene che il meglio debba ancora venire. È presente un’aspirazione a qualcosa di più alto: al 54 percento degli italiani manca qualcosa che i beni materiali non possono dare. È un vuoto che attende di essere riempito dalla dimensione spirituale. Significativo anche quanto emerge in merito ai rapporti con il prossimo: il 17 percento delle risposte ammette come l’egoismo abbia bloccato in passato il desiderio a fare del bene.
Senza intenzione non c'è cultura
Dalla convinzione che la relazionalità accresca l’individualità è scaturito il confronto svoltosi in Basilica. Accennando ai ricordi, di cui si è detto gelosissimo, relativi al rapporto di affetto con monsignor Riva, suo confessore dal 1955, Giuseppe De Rita ha posto al centro della riflessione il tema dell’intenzionalità. “Il cambiamento – ha detto - deve essere intenzionale. Nel 1974 ci prendemmo carico di avere un’intenzione e ci chiedemmo: Quale Chiesa siamo? Quale Chiesa vogliamo? Senza intenzione non c’è cultura. La molla dell’intenzione è ragionare con gli altri, convincerli, stare con gli altri. Don Clemente citava Emmanuel Lévinas sostenendo che il volto di Dio comincia dal volto dell’altro”. Senza intenzionalità dunque non si cambia e si resta nel vuoto secondo il presidente Censis.
Significative in tal senso le considerazioni di Giacomo Leopardi che osservando Roma la descriveva come una città con monumenti enormi e il vuoto intorno. “Nel 1974 – ha proseguito De Rita – l’intenzionalità era l’inclusione, ovvero dare voce a chi non ha voce. Anche oggi dovremmo recuperare quanti si sono allontanati, coloro che sono nella zona grigia dell’indifferenza, che vanno in Chiesa o pregano se capita. Spesso quando preghiamo il Signore non lo facciamo per chiedere perdono, ma per sentirci dire che non abbiamo peccato. Anche questo vuol dire tralasciare. Vorremmo evitare la sensazione di essere giudicati.” Dal presidente del Censis anche un monito alla diocesi di Roma: “dobbiamo tornare ad essere intenzionali come cattolici romani, non siamo il vuoto leopardiano!”
Cittadinanza attiva
Sul carattere unico della città di Roma, “coacervo di persone con provenienze culturali e religiose diverse”, “da sempre multiculturale” si è soffermata Laura Lega: “Chi vive a Roma non ha la sensazione di appartenenza alla città. La vive, la usa, ma ha difficoltà a sentirla propria”, ha osservato. “Quell’accidia del romano che ‘lascia fare’ per cinismo deriva forse da qui. C’è poca cittadinanza attiva, poco desiderio di un cambiamento volontario”.
“Indifferenza e nichilismo – ha osservato il capo dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno - ci fanno allontanare dagli altri, ma anche da noi stessi. L’indifferenza è figlia del timore di osare”. Se il Novecento è stato un secolo di grandi conquiste economiche e sociali, si sono andati però affermando anche un “relativismo ed un individualismo esasperati”.
Lo sguardo collettivo della Costituzione
Da qui il richiamo di Laura Lega alla Costituzione che, nell’affermare i diritti inviolabili di ciascuno, non guarda ad una dimensione singola, ma collettiva: “oggi a volte è prevalente il piacere sul dovere. Tutti invece dobbiamo ritrovarci nel rispetto delle regole che non sono imposizioni, ma strumenti indispensabili per vivere insieme”.
Digitale e relazione
Tante le sfide poste alla nostra società: dall’immigrazione al clima, fino al digitale che, secondo il capo dipartimento ministeriale, “può enfatizzare la patologia del guardarsi l’ombelico e ripiegarsi su sé stessi, illudendosi di essere in relazione con gli altri. Queste sfide vanno governate senza demonizzare ad esempio l’Intelligenza Artificiale che deve aiutare e rendere più semplice la vita umana senza sostituirsi ad essa”.
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