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Alla ricerca dei superstiti alla frana nel distretto di Kencho Shacha Gozdi Alla ricerca dei superstiti alla frana nel distretto di Kencho Shacha Gozdi  (AFP or licensors)

Frana in Etiopia, un vescovo: disastro che si somma alla estrema povertà dei villaggi

Secondo un bilancio ancora non definitivo, sono 256 le vittime del cedimento della montagna nel distretto di Kencho Shacha Gozdi. 50 mila le persone coinvolte, oltre 1300 i bambini con urgente necessità di riparo. Da Emdibir, monsignor Ghebreghiorghis: qui il concetto di messa in sicurezza del territorio è lontano anni luce; speriamo nell'aiuto della comunità internazionale

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Armati di scarsi attrezzi agricoli, pale e zappe per diserbare, i residenti cercano i loro cari sepolti dalle macerie e dal fango causate dalla frana di martedì scorso, 23 luglio, a sua volta generata dalle forti piogge nel distretto di Kencho Shacha Gozdi, nel sud dell'Etiopia, che ha causato la morte di 257 persone. Il bilancio è ancora incerto e si teme sia destinato a salire fino al doppio. 

La sfida di portare soccorsi in una zona inaccessibile

In un'intervista alla BBC, il responsabile dell'Ocha (l'Ufficio delle Nazioni Unite per le questioni umanitarie) in Etiopia, Paul Handley, ha spiegato che "portare le attrezzature di scavo pesanti nell'area colpita", "isolata e montuosa", è stata "una sfida, soprattutto a causa dello stato delle strade". Il Segretario generale dell'Onu, Guterres, si è detto "profondamente rattristato" per la tragedia assicurando, in un messaggio su X, che "le agenzie dell'ONU stanno inviando cibo, attrezzature sanitarie e altre forniture essenziali per aiutare le persone colpite". La Croce Rossa ha iniziato a distribuire beni di prima necessità e il governo federale, con le ONG internazionali, stanno dispiegando squadre nell'area colpita. 

La speranza nell'aiuto della comunità internazionale

Di incidente "scioccante e disastroso" parla all’Agenzia Fides il Vicario Apostolico di Hosanna e Amministratore Apostolico di Soddo, Seyoum Fransua. Il direttore esecutivo della Commissione sociale e per lo sviluppo della Conferenza episcopale cattolica dell'Etiopia e il Catholic Relief Service dell'Etiopia si sono recati sul posto per incontrare i sopravvissuti. Appena sarà possibile, lo stesso Vicario raggiungerà la zona colpita per portare aiuti. Mentre il bilancio delle vittime è ancora incerto, si parla di 46 nuclei familiari investiti dalla frana, con una media di 6 bambini a nucleo. "La Chiesa sta mobilitando risorse - fa sapere il presule - e si coordina con le comunità locali per garantire che gli aiuti raggiungano chi ne ha bisogno in modo rapido ed efficace". C'è comunque bisogno di una solidarietà a livello internazionale. Ne è convinto il vescovo emerito di Emdibir, monsignor Musiè Ghebreghiorghis, che raggiungiamo al telefono.

Ascolta l'intervista a monsignor Ghebreghiorghis

Frane mortali si verificano spesso in tutta la regione dell'Africa orientale, dalla zona montuosa orientale dell'Uganda agli altipiani del Kenya centrale. Ma una di questa portata, fatica a ricordarla il vescovo emerito di una diocesi che dista 500 chilometri dal luogo dell'accaduto, e che tuttavia condivide tutta l'apprensione di un Paese per chi è rimasto coinvolto nella tragedia.

Un vescovo: nei villaggi remoti la sicurezza non si sa cosa sia

"Come Chiesa stiamo facendo tutto quello che ci è possibile per consolare le famiglie. È però una disgrazia che è al di sopra delle nostre risorse economiche, ci vogliono aiuti internazionali", afferma. "Capita spesso in quella zona che si verifichino fatti del genere - spiega - perché le montagne non sono proprio solide. Quando ci sono piogge torrenziali, si possono verificare frane in cui le persone ci rimettono la vita. Anche perché sono villaggi inaccessibili, non entrano le macchine e quindi per salvare le vite è sempre difficile. Che almeno si possano tenere in vita i superstiti e ricostruire le loro case - è il suo appello - bisogna portarli in un altro luogo, non possono vivere in un posto così rischioso". Il fatto è che là il concetto di sicurezza non lo concepisce, sottolinea il presule. "Nessuno ci pensa qui, nei villaggi remoti. Speriamo che in futuro ci sia ma ora la sicurezza è molto debole qui". Una calamità, quella accaduta il 22 luglio, che si va innestare su una fragilità cronica del Paese in cui circa il 18 percento della popolazione (21,4 milioni di persone) dipende già dagli aiuti umanitari a livello ordinario, e 4,5 milioni di persone sono attualmente sfollate a causa di conflitti o disastri climatici. "Le grandi città si vanno molto sviluppando - continua il vescovo - ma lì ci abita forse solo il 20 percento della popolazione. È nei villaggi, dove vive la maggior parte della gente, e dove c'è una grandissima miseria, che va trovata una soluzione per una vita migliore, grazie sempre all'aiuto della comunità internazionale". 

Oltre mille bambini bisognosi di cure immediate

Secondo i dati forniti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) oltre alla perdita di vite umane, il disastro ha profondamente colpito oltre 50 mila persone. La cifra include sfollati, feriti e individui che hanno perso le loro case e i loro mezzi di sostentamento. Nello specifico, ci sono 5.776 famiglie in due kebeles (piccole frazioni) che hanno urgente necessità di riparo. Inoltre, un totale di 596 famiglie sono state evacuate a causa della frana. Tra queste, oltre 1.300 bambini, particolarmente vulnerabili e bisognosi di cure immediate. La situazione sta peggiorando rapidamente e le piogge continue aumentano la probabilità di ulteriori frane. La stagione delle piogge è iniziata a giugno in molte parti dell'Etiopia e si prevede che durerà fino a settembre. 

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26 luglio 2024, 18:35