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Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu si rivolge alla Knesset Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu si rivolge alla Knesset  (ANSA)

La Knesset vota contro la creazione di una nazione palestinese

Il Parlamento israeliano ha detto no alla nascita dello Stato di Palestina nella risoluzione voluta dai partiti della coalizione del premier Netanyahu e della destra dell’opposizione e approvata ieri, 17 luglio, con la maggioranza dei voti. Al Cairo, intanto, continuano le trattative per il cessate il fuoco, mentre l’esercito israeliano attacca nuovamente il sud del Libano. Janiki Cingoli, esperto di Medio Oriente: "Questo voto non facilita il negoziato"

Silvia Giovanrosa – Città del Vaticano

“La creazione di uno Stato palestinese nel cuore di Israele rappresenta una minaccia esistenziale”. Questo è quanto ha affermato la Destra di Unità Nazionale, che ha espresso la totale opposizione ad una soluzione di due Stati nel cuore della Terra Santa. Nella risoluzione approvata ieri, 17 luglio, voluta e votata sia dai partiti della coalizione del primo ministro Benjamin Netanyahu, sia dai partiti di destra dell’opposizione, il Parlamento dello Stato di Israele ha detto no ad uno Stato di Palestina con la maggioranza dei voti. I parlamentari di centrosinistra hanno lasciato la plenaria per evitare di sostenere la decisione. L'approvazione è avvenuta a pochi giorni dalla partenza del premier Netanyahu che, il prossimo 22 luglio, dovrebbe incontrare il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, alla Casa Bianca. E’ nota la posizione della presidenza Usa a favore della creazione di uno Stato palestinese.

La risposta dell’Autorità Nazionale Palestinese

"Non c'è pace né sicurezza per nessuno senza l'istituzione di uno Stato palestinese in conformità con la legge internazionale", ha dichiarato Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, in risposta alla risoluzione approvata in Israele dalla Knesset. Abu Rudeina ha inoltre accusato gli Stati Uniti di essere responsabili del perpetrarsi della guerra a causa del loro continuo sostegno ad Israele.

Il voto della Knesset e la soluzione in due Stati

Per il professor Janiki Cingoli, esperto di Medio Oriente e già presidente del Centro italiano per la pace in Medio Oriente, il voto della Knesset non facilita lo sviluppo del negoziato e la questione centrale è vedere se le trattative in corso andranno verso uno sbocco positivo, e se si procederà verso una normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita. Una soluzione di due Stati, prosegue il professor Cingoli nell'intervista rilasciata a Radio Vaticana-Vatican News, è, in parte, compromessa dal continuo espansionismo israeliano che frammenta il territorio alla base dello Stato palestinese da costruire. Sul fronte opposto, l’apertura del negoziato rimette in gioco l’Autorità Nazionale Palestinese: è significativo, osserva l'esperto, che nelle trattative a Doha sia stato raggiunto un accordo per cui circa 3mila dipendenti dell’ANP potrebbero essere utilizzati per garantirne la sicurezza. La settimana prossima, inoltre, si apriranno in Cina dei colloqui tra Autorità Palestinese ed Hamas, per assicurare l’amministrazione congiunta del nuovo Stato.

Ascolta l'intervista al professor Janiki Cingoli

I negoziati

Intanto, oggi, 18 luglio, al Cairo si continua a discutere per un cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi, divenuto più urgente dopo le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallat, secondo cui, se non verrà siglato un accordo con Hamas nelle prossime due settimane, il destino delle persone nelle mani dei militari sarà segnato. I mediatori internazionali continuano a spingere le due parti affinché raggiungano un accordo graduale, che porrebbe fine ai combattimenti e libererebbe circa 120 ostaggi detenuti dal gruppo militante nella Striscia di Gaza. Torna a rilanciare la richiesta di un immediato cessate il fuoco anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha sottolineato: "La situazione umanitaria a Gaza è una macchia morale per tutti noi, il diritto internazionale umanitario deve essere rispettato, in ogni momento e da tutte le parti. E questa terribile guerra deve finire".

La guerra sul fronte nord

Nella serata di ieri, le forze aeree israeliane hanno attaccato un’altra infrastruttura terroristica di Hezbollah, nella città di Eitaron, nel sud del Libano, ha fatto sapere il portavoce delle forze armate israeliane. E’ invece di quest’oggi, la notizia di un nuovo attacco lungo la blue line, che segna il confine tra Israele e Libano. Nel raid sarebbe rimasto ucciso un alto comandante delle Forze Fajr, Mohammed Hamed. Affiliate al Gruppo Islamico, un ramo della Fratellanza musulmana nel Paese arabo, le Forze Fajr hanno preso di mira Israele in seguito all'attacco del 7 ottobre da parte di Hamas. Il ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri, aveva lanciato ieri un nuovo avvertimento ad Israele: “Il Libano sarà sicuramente un inferno se Israele lancerà una guerra su larga scala contro il Paese . Bagheri aveva commentato così le recenti dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, secondo cui le sue forze si stanno preparando per un'operazione molto tesa al confine con il Paese dei Cedri.

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18 luglio 2024, 10:01