Il Sudan al collasso tra guerra, carestia e malattie: "Vuoto umanitario inaccettabile"
Alessandro Guarasci - Città del Vaticano
È da un anno e mezzo che una tremenda guerra civile colpisce il Sudan. Questo ha comportato almeno dieci milioni di sfollati interni e due milioni interni. Ora una serie di organizzazioni intervengono per chiedere alla comunità internazionale di intervenire per portare la pace.
Guerra civile sempre più violenta
Un conflitto feroce, dimenticato dai media internazionali, tra tra le forze armate sudanesi (SAF) guidate dal Generale Abdel Fattah al-Burhan, e i paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (RSF) ai comandi di Muhammad Hamdan Dagalo ha fatto decine di migliaia le vittime. Sant’Egidio, Emergency, Medici senza Frontiere, Comboniani, Suore salesiane chiedono che la comunità internazionale agisca.
In Sudan rilanciare il processo di pace
La precedente conferenza di pace di Parigi è fallita e sarebbe importante che l’Italia ora alla presidenza del G7 accenda i riflettori su questa crisi. Basta dire che 18 milioni di persone sono a rischio crisi umanitaria, da un anno e mezzo le scuole sono chiuse, non c’è cibo fresco, non c’è acqua corrente e almeno due milioni di persone, tra cui tante professionalità, sono fuggite. I combattimenti sono arrivati fino nella capitale Karthoum, definita oramai una città fantasma.
Sant'Egidio: situazione drammatica alle porte d'Europa
Secondo Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, "gli scontri sono molto violenti e stanno causando conseguenze gravi alla popolazione". E questo non permette che gli aiuti umanitari arrivino regolarmente. Il presidente della Comunità di Sant'Egidio mette in luce che il “Paese soffre la fame in modo diffuso e c'è una situazione drammatica alle porte d'Europa". Tanto che sta aumentando il numero di sudanesi che tenta di arrivare in Europa salendo sui barconi che dalla Libia o dalla Tunisia solcano il Mediterraneo,
Cibo e medicinali difficili da trovare
Vittorio Oppizzi, responsabile dei programmi di Medici Senza Frontiere, aggiunge che in Sudan, dove da oltre un anno è in atto una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni, la popolazione è allo stremo, manca da mangiare e la sanità è ridotta al minimo senza vaccini. "Nonostante tutto questo, c'è un vuoto umanitario inaccettabile - afferma l’esponente di Msf - Le organizzazioni e i donatori internazionali devono aumentare i loro sforzi, mentre le parti in conflitto devono garantire la protezione dei civili e delle strutture sanitarie oltre a permettere a operatori umanitari e aiuti di raggiungere la popolazione”.
Le suore salesiane restano a Karthoum
Di situazione disperata parla anche suor Ruth del Pilar Mora, consigliera dell'Istituto delle figlie di Maria ausiliatrice. “Siamo rimaste in una zona di periferia a Khartoum, in un'area molto contesa tra le parti combattenti", riferisce la missionaria. "Volevamo continuare a stare al fianco della popolazione, in particolare sul piano educativo: gestivamo una scuola informale che prima del conflitto era frequentata da 700 bambini". La struttura dove vivono le cinque suore a Karthoum è stata bombardata un paio di volte e questo ha comportato che tutti gli spazi possono essere abitati.
La stragrande maggioranza della popolazione è malnutrita
Pietro Parrino, direttore del dipartimento progetti di Emergency, parla della capitale Karthoum come di una città nel caos più totale: “Non ci sono medicinali, non c’è cibo fresco ma solo secco e questo comporta che tanta gente è denutrita. Solo pochi giorni fa decine di persone sono morte perché pensavano di assumere aranciata in polvere e invece era veleno”. Parrino afferma che questa guerra è dimenticata dalla comunità internazionale, ma in realtà tutti gli Stati vicino al Sudan hanno interessi ben precisi in questo conflitto.
Da un anno e mezzo non c'è scuola
Altro aspetto non secondario è il fatto che le ragazze e i ragazzi da anni non vanno a scuola. Padre Angelo Giorgetti, è un comboniano e per 16 anni è stato in Sudan. “L’attività didattica è ferma e questo alla lunga rischia di essere un problema per un’intera generazione – dice Giorgetti - Le nostre tre comunità a Khartoum sono state tutte evacuate perché in si trovavano in posizioni molto centrali. Ma noi siamo rimasti in altre zone del Paese perché non vogliamo abbandonare la popolazione.
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