La musica come inclusione
Marcello Filotei - Città del Vaticano
Bambini, tanti, a pranzo in un ristorante d’albergo. Parlano animatamente, ma seguono le direttive di un “grande”, che forse arriva 30 anni. Accanto a loro adolescenti e qualche ultravetenne (gente vecchia per la media locale). Mangiano in fretta perché le scadenze sono tante. Per essere una vacanza è anomala, ma basta inserire la parola chiave e si chiarisce tutto: musica. I musicisti sono fatti così, a qualunque età, hanno una specie di ossessione: come essere domani migliori di oggi. È così ovunque. Quello che distingue il Campus delle Arti, che nel 2024 è giunto alla ventesima edizione, è che qui a Bassano del Grappa lo fanno tutti assieme. A qualsiasi età. In questo modo lo studio della musica raggiunge uno dei suoi obiettivi principali forse il più importante: creare un gruppo di persone che vogliono entrare in contatto con le proprie emozioni, viverle, trasmetterle, e soprattutto farlo all’interno di una comunità. Poi ci sarebbe il dettaglio che studiare uno strumento è faticoso, ci vogliono anni, tante ore ogni giorno, la capacità di superare i fallimenti, di comprendere i propri limiti e di accettali. È il prezzo che c’è da pagare se poi a pranzo vuoi parlare di Mozart, Beethoven, Chopin, Dvorak, scambiare due parole su Bartok, o raccontare di quanto ti emoziona la musica di Marain Marais, un compositore vissuto tra il ‘600 e il ‘700, che ha scritto principalmente lavori per viola da gamba del quale appena usciti dalla porta dell’albergo nessuno conosce più il nome, a meno che nel 1991 non abbia visto al cinema Tutte le mattine del mondo di Alain Corneau.
La magia del Campus è proprio questo, spiega il direttore artistico Angela Chiofalo, «essere un luogo inclusivo in cui ogni individuo, indipendentemente dall’età e dalle competenze iniziali, può scoprire opportunità per sviluppare i propri talenti attraverso l’espressione artistica della musica e dell’arte». È per questo che da vent’anni vengono offerti «corsi adatti a principianti di tutte le età, compresi bambini, adolescenti e adulti, oltre a programmi di formazione orchestrale, corsi di alto perfezionamento e opportunità per gli amanti della musica e gli appassionati dilettanti». Tutto bello, ma non facile. Ci vuole grande professionalità, la partecipazione annuale di insegnanti di fama internazionale e il coinvolgimento di una comunità di iscritti provenienti da tutto il mondo.
Camminando per i corridoi dell’albergo sembra di essere in un conservatorio. Suonano tutti bene, alcuni molto bene. Qualche fuoriclasse si palesa, ma quelli di solito hanno un carattere particolare: o estremamente espansivo, o introverso all’eccesso. Almeno quando parlando con un vecchio giornalista/compositore come chi scrive che è appena arrivato per presiedere la giuria del Concorso che assegnerà premi consistenti. Niente denaro, meglio la possibilità di suonare in sedi prestigiose, ognuno secondo le proprie capacità, tenendo conto del livello raggiunto, senza strafare, ma mantenendo alta l’asticella.
I corsi non si interrompono quasi mai, ma intanto iniziano le esibizioni degli studenti di fronte alla giuria. Accanto al sottoscritto, siedono musicisti affermati ognuno dei quali tiene una masterclass al Campus. Bambini, adolescenti e ragazzi sfilano e suonano davanti a Lorenzo Rüdiger, docente di violino, Francesco D’Errico, che insegna pianoforte jazz, improvvisazione e filosofia della musica, Luciano Borin, docente di vocalità funzionale individuale e per cori, Cecilia Grillo, insegnante di pianoforte, e, in alcuni frangenti, anche al baritono Alessio Quaresima Escobar, che tiene il corso di canto e pianoforte per accompagnatori. Il livello medio è alto, alcuni eccellono, altri stupiscono. Un bambino di otto anni, che studia da 12 mesi, suona la Toccata di Dmitrij Borisovič Kabalevskij, un compositore sovietico morto nel 1987 che chissà quanti suoi coetanei conoscono. Si chiama Luca Capotorto, ma per tutti è “Luchino”. Entra suona, saluta e se ne va. Ha vinto la sezione «Prime note». Non che gli importi più di tanto, a lui interessa suonare e stare con i suoi amici musicisti in erba. Sono tanti. Sono promettenti, e va benissimo. Ma soprattutto tra le cose che fanno hanno inserito anche la ricerca della Bellezza. E forse questo è più importante di quanti bemolle dimenticano (comunque pochi).
Poi cominciano ad arrivare i più grandi, adolescenti prima, ventenni poi. Flautisti, violoncellisti, pianisti, violinisti. Alcuni sono bravi, altri molto bravi. Diversi si sono distinti e andranno a suonare in giro per l’Europa nei prossimi mesi. Poi, si sa, i concorsi sono fatti per indicare un vincitore assoluto, e in questo caso è stato un pianista. Si chiama Matteo Pomposelli, è un ragazzo normalissimo. Se lo incontri in giro con i suoi amici la sera a Bassano del Grappa è simpatico, spigliato e parla delle stesse cose dei suoi coetanei. Quando si siede al pianoforte resta lo stesso: sereno, spigliato, naturale. Se la musica fa parte della vita non c’è cesura tra il seggiolino del pianoforte e la sedia di un pub. Se continuerà a studiare forse arriverà lontano. Sicuramente vivrà circondato dalla Bellezza, regalandone un po’ a chi lo ascolta.
I corsi però non si fermano, i corridoi continuano a suonare. Poi di colpo scoppia il silenzio. Passa poco tempo e la sala del pasto comunitario si riempie nuovamente e ricominciano i discorsi “normali”, quelli su compositori morti qualche centinaio di anni fa, ma che sembrano amici di questi ragazzi. Cecilia Grillo si muove tra i tavoli con la naturalezza di chi lo fa da tanto tempo. Conosce tutti, li chiama per nome, saluta i genitori. Ha un fare amichevole, e se lo può permettere perché poi quando dice «in classe» non si discute più. Se le chiedi come fa a farli crescere come musicisti e al tempo stesso a giocare con loro ti risponde tranquilla: «Il bastone e la carota».
Al tavolo dei piccoli fino a qualche anno fa c’era anche una ragazzina romana, violoncellista. Da qualche tempo pranza con i grandi. È Erica Piccotti, classe 1999, ex studentessa del Campus, molto nota e apprezzata dopo il suo debutto su etichette discografiche internazionali. Vive a Berlino ma non si è dimenticata di quando studiava con Francesco Storino, storico violoncello dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che, ovviamente, chiama ancora maestro. Sa di essere baciata dal talento, e sa che l’interprete deve mediare tra il genio del compositore e il pubblico se vuole trasmettere qualcosa. «Suonare da piccola mi veniva facile, il difficile arriva quando c’è la presa di coscienza e ci si rende conto che abbiamo sulle spalle una responsabilità importante, quella di capire cosa vuole il compositore, non “metterci davanti” ed essere arroganti, ma cercare umilmente di trasmettere quello che leggiamo dalle partiture»
La vacanza studio è finita. Si sono create amicizie, qualche volta sembrerebbe qualcosa di più. «L’ultima cena», come la poteva definire solo un bambino, volge al termine. Baci abbracci, ringraziamenti, appuntamenti al prossimo Campus. Ma prima di andare via fanno tutti la stessa domanda ai maestri: secondo lei come posso migliorare quest’anno?
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