Studenti in attesa del suono della campanella (foto d'archivio) Studenti in attesa del suono della campanella (foto d'archivio)  (ANSA)

"Perché insegno? Perché ci credo": in un libro voci di insegnanti creativi e motivati

Che l'impegno educativo oggi conosca una profonda crisi è sotto gli occhi di tutti. In generale gli adulti sembrano aver perso di vista il loro ruolo e la loro responsabilità nei confronti delle nuove generazioni spesso abbandonate a se stesse di fronte alla vita. Tuttavia, le buone pratiche scolastiche in Italia ci sono, scrive Michele De Beni, uno dei due curatori del libro che presenta alcune significative esperienze d'insegnamento

Adriana Masotti - Città del Vaticano

L"educare è stata la mia professione, una vocazione che viene da lontano e che cerco di rinnovare ogni giorno". Si presenta così Michele De Beni che, insieme al collega Claudio Girelli, ha curato il libro "Perché insegno? Perché ci credo" con un sottotitolo sintesi del volume: "Un bravo insegnante fa la differenza". Psicoterapeuta, pedagogista, De Beni, insegna attualmente Programmazione e Valutazione dei processi formativi all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano ed è coordinatore per l’Italia del Programma internazionale “Cognitive Research Trust”.  Claudio Girelli è pedagogista, professore di Pedagogia sperimentale all’Università di Verona, direttore del Corso di Laurea in Scienze della Formazione primaria e co-direttore della rivista on line “RicercAzione” di IPRASE, ente della Provincia autonoma di Trento.

Gli insegnanti nella società attuale

"Invito tutti, dai politici ai genitori, a sostenere gli insegnanti", si legge nella quarta di copertina al volume pubblicato da Città Nuova editrice. Sono parole di Andria Zafirakou, vincitrice del premio internazionale Global Teacher Prize 2018 che prosegue: "Dopotutto se la prossima generazione dovrà essere in grado di affrontare le colossali sfide che l'aspettano (...), essa avrà bisogno della migliore istruzione possibile, e quindi di insegnanti validi". L'amara costatazione di Keishia Thorpe, insegnante americana vincitrice del Premio nel 2021, riportata nell'Introduzione di De Beni, fa pensare: "In realtà non abbiamo molta credibilità, e ci facciamo carico di molto. Gli studenti vengono nelle nostre aule e noi siamo madri, consiglieri, siamo insegnanti, siamo coach, e non credo che otteniamo l’attenzione che ci meritiamo".

Il libro a cura di Michele De Beni e Claudio Girelli sui temi dell'educazione e dell'insegnamento
Il libro a cura di Michele De Beni e Claudio Girelli sui temi dell'educazione e dell'insegnamento

Le buone testimonianze

"Perché insegno? Perché ci credo" è un libro scritto da insegnanti per insegnanti e per quanti hanno a cuore una scuola e un'educazione di qualità. Presenta le "buone pratiche" di molti docenti italiani, inclusi tra i 50 finalisti del Global Teacher Prize, che credono nel loro lavoro perché convinti che un bravo insegnante può davvero "fare la differenza e dare speranza al futuro delle giovani generazioni". Sono: Katja Battaglia, Lorella Carimali, Antonio Curci, Leonardo Durante, Annamaria Gatti, Daniele Manni, Carlo Mazzone, Giuseppe Paschetto, Armando Persico, Maria Raspatelli, Barbara Riccardi, Slavi Snoj.

De Beni: decisivo è offrire ai giovani un "orizzonte di senso"

 
"Da una buona scuola - sostiene Michele De Beni - può veramente partire la scintilla che ispirerà i nostri studenti per tutta la vita, attori critici e costruttivi di cambiamenti". Ai media vaticani, il curatore legge la situazione educativa attuale ed esprime la sua speranza per una passione e un'assunzione di responsabilità ritrovate da parte degli adulti nei confronti delle nuove generazioni.
 
Ascolta l'intervista a Michele De Beni

Professor De Beni, lei scrive nell’Introduzione che da come gli adulti raccoglieranno la sfida dell’impegno educativo dipenderà il futuro dei giovani. Papa Francesco, e non solo, parla da tempo di emergenza educativa. Lei che ne pensa?

Di emergenza educativa si parla tanto. Riconosco che siamo dentro un gigantesco cambiamento culturale e che, come indicato da Papa Francesco, quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti ma è un “cambiamento di epoca”, con scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, ma penso che lo stato dell’educazione oggi non sia paragonabile a un cataclisma o a uno sfacelo. Piuttosto, cerco di interpretare la parola “emergenza” in senso positivo leggendola come qualcosa che “emerge”, che si staglia sullo sfondo e con cui dobbiamo fare i conti per rispondere alle nuove sfide. Tutto ciò esige uno sforzo e quindi questo nuovo slancio, oserei dire, per rigenerare un ethos educativo più che nuove tecniche, un ethos che non sia una riproposizione di ciò che è stato, ma invenzione di ciò che non c'è ancora. E questa è la grande sfida! I ragazzi sono cambiati, certamente, ma siamo noi generazioni adulte che per primi siamo cambiati. Umberto Galimberti afferma che lo smarrimento dei giovani è dovuto non tanto a qualche loro deficit, quanto piuttosto a una società adulta e nichilista che li priva di ciò di cui loro hanno più bisogno, cioè di un orizzonte di senso.

Venendo alla figura dell’insegnante, lei sostiene che le motivazioni personali della scelta di una professione, indubbiamente difficile, sono fondamentali. Lei quali ragioni ha trovato per iniziare ad insegnare? 

L'incontro con un maestro può davvero cambiare la vita, può fare la differenza. Massimo Recalcati, a questo proposito, dice che un maestro vale un intero regno. È che oggi assistiamo a un vero e proprio disimpegno educativo. Sembra che noi adulti siamo “altrove”, distratti, sordi al grido muto ma lacerante se lo sappiamo ascoltare, che ci viene dal mondo giovanile e che ci dice: “Non lasciateci soli”. Certo l’arte di educare non si improvvisa. Viene da lontano, e per me è venuta dall' incontro con maestri veri. Ricordo l'incontro personale con un gigante della psicologia cognitiva a livello mondiale, Edward De Bono, e i suoi studi sulle strategie di pensiero: come funziona la mente, come si può indirizzare il pensiero ad essere produttivo e creativo. Mi ha affascinato molto questo approccio, però sentivo che mi mancava qualcosa che desse senso al pensare stesso.

Poi ho avuto la possibilità di vivere un’esperienza a contatto con allievi del famoso psichiatra viennese Victor Emil Frankl, fondatore della logoterapia e analisi esistenziale. Sopravvissuto a quattro campi di concentramento, Frankl ha diagnosticato in modo pionieristico il fenomeno del "vuoto esistenziale" nella persona umana che richiede la "forza di resistenza dello spirito". Questi approcci mi hanno condotto progressivamente a vedere quanto fosse necessario un fondamento che facesse da punto di riferimento non solo alle mie ricerche ma alla mia vita. Ma la cosa che mi ha veramente fatto fare un salto di qualità interiore e poi anche di ricerca, è stata la riscoperta del Vangelo, che avevo accantonato, e che è stato favorito dall'incontro con una donna straordinaria, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Così ho trovato quel modello, che cercavo da tempo, espresso nell'insegnamento di Gesù, che in quanto uomo-Dio, mi parve proprio riassumere in sé le caratteristiche della realtà e dell’utopia, i cieli e le terre nuove.

Quello dell’insegnante è un lavoro in continua evoluzione. Nel volume vengono presentate le testimonianze di docenti che non hanno avuto paura di rinnovarsi e di rinnovare il loro modo d’insegnare…

Questo parte, a mio parere, da uno sfondo ispiratore che guida il lavoro di questi insegnanti che hanno collaborato per questo libro, ma che dovrebbe guidare il lavoro di ogni insegnante. Il problema è che di questo tema che riguarda la motivazione, l’orizzonte di senso che muove la professione docente si parla poco, quasi fosse un superfluo. Siamo troppo inebriati di discussioni sull’IA dimenticando che il grande compito educativo interpella prima di tutta la coscienza educativa di chi insegna. In quanto docenti, prima ancora che gli studenti, noi dobbiamo incontrare i ragazzi “come persone”. È da qui, da questa profonda relazione io-tu-noi che si trova il vero senso dell’educare. In questo libro si parla di metodi, di strategie, ma prima di tutto di passione e cura dell’educare, perché è da questo fondamento che parte ogni cambiamento nei modi e nelle tecniche. Ci sono esperienze di insegnanti inclusi tra i finalisti del prestigioso premio Global Teacher Prize e sono insegnanti che hanno avuto il coraggio di innovare, cioè non sono stati fermi convinti che da una buona scuola può veramente partire una scintilla che ispirerà i nostri giovani ad essere attori costruttivi a loro volta di cambiamento. Si tratta di una decina di saggi con un fil rouge che li accomuna: il diretto coinvolgimento degli studenti nel processo d’apprendimento, e soprattutto un agire educativo finalizzato alla promozione dell'autonomia di questi giovani, della collaborazione tra di loro, dell'autostima, del senso di iniziativa, potremmo dire del senso di imprenditorialità nel senso vasto del termine. Se la finalità della scuola è insegnare, essa deve anche saper educare, stimolando il piacere d’apprendere e un uso delle conoscenze mai fine a sè stesso, ma rivolto al cambiamento e alla costruzione di una cultura di solidarietà e di pace. 

Un alunno a scuola
Un alunno a scuola

Ci può citare alcune delle testimonianze contenute nel libro per darci un assaggio di queste “buone pratiche”?

Tra le tante, mi ha molto colpito l’esperienza di un’insegnante di matematica che cita una lunga lettera ricevuta da una sua allieva alla fine della quinta liceo, lettera che finiva così: “Grazie, per avermi dato occhi per cercare terre nuove”. In queste parole, a mio avviso, viene indicata la via: avere occhi acuti e menti aperte. È quando siamo disposti ad ascoltare attentamente, a osservare, a considerare nuove prospettive, che nasce la nuova comprensione del mondo ed è lì che fondiamo la vera nostra esperienza di vita. E questo, sottolinea l'insegnante, può essere una strada percorribile anche attraverso lo studio matematico che a tutti sembra una "bestia nera", ma lei riesce attraverso la sua didattica, ogni giorno nuova, a formare attraverso questa disciplina giovani che abbiano occhi e menti aperte a riconoscere che il futuro è nel noi, non solo nell'io. E poi anche quella di un professionista che ha lasciato un remunerativo impiego nel settore informatico per fare il professore, consapevole che l’educazione è il vero tesoro dell’umanità, e che oltre a insegnare informatica, avverte il bisogno che questi giovani hanno di esprimersi, di essere protagonisti non solo nello studio, ma anche nel rapporto con la vita della comunità. Da qui la nascita di una radio locale di cui i protagonisti sono gli studenti con il coinvolgimento di larghe fasce del territorio. Tutto questo mostra lo spirito apertissimo di questi professori che vanno oltre la propria disciplina partendo però dalla propria disciplina.

Lei scrive che nella “relazione io-tu-noi si trova il vero senso dell’educare”. Questo sottintende una visione della scuola che non darei per scontata, anzi, spesso si discute di separare i bravi da chi fa fatica, gli immigrati dagli italiani, di meritocrazia ecc… Qual è il suo pensiero in merito a queste posizioni?

Penso che una delle più importanti doti educative sia l’ascolto. È necessario mettersi in un atteggiamento di ascolto, perché ogni studente è portatore di una storia personale e di ricerca da raccontare e condividere. In questo senso, gli apprendimenti degli studenti, cioè quello che essi sanno e non sanno fare, non sono solo dati da giudicare, ma realtà da comprendere e interpretare attraverso il dialogo. Ed è questo, a mio giudizio, il vero merito di cui dovremmo tener conto che sia un ragazzo/a immigrato, con qualche difficoltà d’apprendimento, svantaggiato sociale ecc... Guardare al suo sforzo, cioè, di protendersi “oltre”, di spingersi nel dialogo con gli insegnanti, tra sé e sé, con i compagni, per comprendere come e cosa cambiare, cosa e come fare per migliorare.

Esami di maturità in Italia (foto d'archivio)
Esami di maturità in Italia (foto d'archivio)

Per concludere, che cosa si augura di suscitare nei lettori adulti di “Perché insegno? Perché ci credo” e che cosa si augura per i giovani di oggi e di domani?

Mi piacerebbe che suscitasse una domanda che porta direttamente al centro del problema esistenziale, quello della “lotta”, che ognuno di noi dovrebbe fare come percorso interiore di liberazione. Questo processo di liberazione è proprio dell'educare, non è un problema politico, economico o giuridico, ma prima di tutto un problema etico-educativo. Quindi il problema dell'educazione non è una moda, ma è una questione decisiva per il benessere e per la qualità della vita. Ho l'impressione che oggi si fugga verso le riforme, le riforme di programmi, ma ci si dimentichi della figura centrale di ogni riforma che è la figura dell'insegnante, dell'educatore. Afferma Jacques Maritain: “Se l’amore esiste in qualche angolo del mondo, lì si trovano la vita e la fiamma della vita, e un pezzo di paradiso in boccio”, e a me sembra che qui sia proprio la linea da cui far scaturire il fondamento stesso dell'educare. Qui si parla dell'interiorità, ma non come chiusura nell'io, ma come profonda capacità di riflessione arrivando fino ad avere il coraggio di dire ai giovani che il culmine, la sublime verità della vita, è proprio l'amore. L'educazione è essenzialmente un processo coscienziale, non è sostituibile con nessuna scienza o conoscenza, anche se queste sono necessarie, ma è frutto, a mio parere, di ricerca e di riflessione di questo dono di libertà interiore che deve avere prima di tutto l'insegnante per poi poterlo testimoniare e vivere con i propri allievi. Di questo i nostri giovani hanno estremo bisogno.

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11 agosto 2024, 11:04