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Mauritania, diritti umani a rischio per schiavitù e razzismo

Nel Paese dell’Africa occidentale, sebbene non esistano statistiche ufficiali sul numero delle vittime di schiavitù e razzismo, diverse comunità si confrontano ogni giorno con questa dura realtà. Dieynaba N'Diom, sociologa e femminista mauritana: sono pratiche che costituiscono un grave attacco alla dignità umana, per questo è necessario che “i tribunali anti-schiavitù siano più operativi”

Augustine Asta e Alessandro Di Bussolo - Città del Vaticano

“Anche oggi, nel 2024, qui in Mauritania, vediamo molto chiaramente e quasi ovunque che esiste la schiavitù, che viene praticata in diverse forme. Questo è l’unico Paese in cui esiste un tribunale contro la schiavitù, e ciò testimonia l'esistenza di questa pratica. Schiavitù e razzismo sono due realtà ancora nel 21° secolo in Mauritania”. Così la sociologa e femminista mauritana Dieynaba N'Diom insiste sul fatto che è impossibile pensare che nello stato desertico della Mauritania, situato nel nord-ovest del continente africano, le pratiche di schiavitù e il razzismo siano un lontano ricordo.

L'indegna pratica della schiavitù

Molte persone, infatti, vivono, nello status di schiavo o di ex schiavo. “Persone che non hanno libertà di movimento. Non godono del diritto all’istruzione, per esempio. Infatti sono persone soggette agli altri che le usano come desiderano. Alcune sono state “liberate”. Ma ce ne sono molti altre che sono ancora in schiavitù. Nella misura in cui la persona non può fare nulla da sola, non può decidere nulla, non ha accesso a nulla. Lei è lì solo per il desiderio e la buona volontà del ‘padrone’”, confida l'attivista per i diritti umani. Purtroppo le pratiche di schiavitù esistono ancora oggi in Mauritania.

Persone considerate socialmente inferiori

La Mauritania riunisce diverse componenti sociolinguistiche e culturali. Soninké, Wolof, Peul, Mori bianchi, Arabi, Berberi e anche Bambara, solo per citarne alcuni. “È nelle comunità negro-mauritane, in particolare i Wolof, i Poular e i Soninké, che queste pratiche di schiavitù esistono ancora - afferma con il cuore ferito Dieynaba N’Diom – con una casta che subisce ancora discriminazioni, perché la persona non è nata nella famiglia giusta o è considerata discendente di schiavi, tra le altre cose. Quindi la persona è considerata socialmente inferiore alle altre”. Poi aggiunge: “Ci sono anche gli arabo-berberi che sono in qualche modo in relazione con la comunità discendente degli schiavi chiamati ‘Haratine’. Sono stati infatti gli arabo-berberi a sottoporre gli ‘Haratine’ alla schiavitù. E spesso è di questa forma di schiavitù che si parla di più, perché è la più spaventosa ed è anche la più visibile in Mauritania”.

Le donne sono le principali vittime

Le persone che pagano il prezzo più alto per le varie pratiche di schiavitù sono donne. “È la donna che soffre di più perché sottoposta a ripetuti stupri. Donne che subiscono anche violenza fisica, sessuale, psicologica (...). Donne che non hanno dignità umana e che dipendono dalla volontà dei capi, degli uomini, dei maschi, della tribù”, spiega Dieynaba N’Diom. Anche le persone precedentemente schiavizzate vivono con questo peso all'interno della società. La loro liberazione spesso non è chiara e definita. “Le persone che si sono trovate in questa situazione, non è facile toglierle dal braccio del ‘maestro’. Perché è sempre difficile liberare una persona che non è stata educata in modo da essere autonoma. Ci sono anche alcuni ‘schiavi’ che non vogliono essere liberati. Altri dicono apertamente che preferiscono essere ‘schiavi’ per tutta la vita. Perché abbiamo insegnato loro, per tutta la vita, a dipendere da altre persone e inevitabilmente, anche se le liberassimo, si sentiranno ancora più perse. Perché pensano che non riusciranno ad integrarsi in modo ottimale nella società”, denuncia.

Schiavitù e razzismo: due problemi ben distinti

Secondo Dieynaba N'Diom, oltre alla schiavitù, anche il razzismo è una realtà in Mauritania. Il fenomeno, dice, “colpisce tutti i neri” nel suo Paese. Un’altra terribile realtà che va combattuta a tutti i costi. “Ogni mauritano nero, che sia nato libero o no, è soggetto al razzismo. Molto semplicemente perché è una persona di colore che vive in Mauritania” sostiene. Questo qualunque sia la loro classe sociale, la loro identità, o la comunità a cui appartengono, “tutti i neri sperimentano il razzismo in un modo o nell’altro”. Il razzismo in Mauritania “è innanzitutto sistemico. Non è previsto dalla legge, ma viene fatto in modo molto sottile”, testimonia l’attivista dei diritti umani.

Conseguenze palpabili sulla comunità nera

La cosa peggiore, sottolinea la sociologa, è che “non esiste alcuna leva del potere detenuta dai neri. Dalla creazione della Mauritania ad oggi, non c'è stata nessuna persona di colore che sia stata presidente del Paese. Non ci sono neri in Mauritania che possiedano, ad esempio, una televisione o una radio. In Mauritania non ci sono neri alla guida di una banca. Non c’è nessuna persona di colore in Mauritania che occupi una posizione di responsabilità strategica”. I neri, denuncia N'Diom, “sono l’anello debole della società. Non hanno accesso a un’istruzione di qualità, nemmeno ad un sistema sanitario di qualità, ma anche al lavoro”. Negli anni dal 1986 al 1992, ricorda, c'è stato un genocidio che ha preso di mira solo i neri mauritani. Interi villaggi sono stati decimati. “Ma oggi stiamo assistendo a un’altra forma di genocidio chiamato ‘genocidio biometrico’. Si procede alla registrazione biometrica della popolazione, ma le uniche persone che non sono ancora state registrate e che hanno difficoltà a ottenere i documenti sono i neri”, lamenta Dieynaba N’Diom, che crede fermamente che questo quadro sia cupo il risultato dell’attuale sistema politico.

Rischi di alienazione culturale

Infatti si è deciso di mettere la lingua araba “al di sopra di tutte le altre lingue. Ciò significa che l’intero sistema educativo è completamente arabizzato. Oggi in Mauritania l’istruzione non è altro che il riflesso dell’ideologia politica del sistema in vigore, uno strumento di dominio di un popolo rispetto agli altri. Stiamo andando verso l’alienazione culturale sotto gli occhi di tutti”.

Vincoli socioculturali e religiosi

In una società diversificata e complessa come quella della Mauritania, l’errata interpretazione della religione perpetua l’esistenza della schiavitù, del razzismo e di altre discriminazioni. “Abbiamo libri scritti da grandi studiosi arabi e musulmani che sostengono che la schiavitù sia una pratica parte integrante della religione musulmana” confida la sociologa mauritana. A ciò si aggiungono i vincoli socio-culturali: “Viviamo secondo norme in cui il sistema patriarcale crea discriminazioni di cui siamo di fatto tutti vittime. Ma le donne nere sono doppiamente discriminate rispetto alle donne bianche”.

Segnali di cambiamento

In Mauritania la schiavitù è stata ufficialmente abolita nel 1981, ma è riconosciuta come crimine contro l’umanità solo dal 2015. Eppure, denuncia Dieynaba N’Diom “sono pochi i casi di persone finite in carcere per pratiche schiavistiche. Perché coloro che dovrebbero giudicare coloro che commettono questo crimine sono i primi ad essere schiavisti. Ed è qualcosa che è così radicato nella coscienza mauritana che coloro che lo praticano pensano che sia normale”. Ma qualcosa comincia a cambiare, per l’attivista per i diritti umani: “L’esistenza di una legge contro la schiavitù e di un tribunale, dimostra che cose si stanno muovendo. Ma ancora una volta penso che ci sia una reale mancanza di volontà politica. Se vogliamo davvero abolire la schiavitù in modo davvero ottimale, non bastano solo i tribunali e le leggi, servono mezzi di sostegno”. E propone che in Mauritania “i tribunali anti-schiavitù siano più operativi ma soprattutto che la legge venga rispettata”. Auspica infine “che le persone che si trovano o si trovavano in una situazione di schiavitù siano curate e reintegrate” attraverso programmi all’interno della società.

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01 agosto 2024, 08:56