Studiare in carcere: la storia di Roberto, maturità classica e due lauree
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Lo studio in carcere: una possibilità utile sia per apprendere competenze spendibili una volta fuori e corredarle di un titolo che abbia valore legale, ma anche per reinserirsi in società con un’immagine e un ruolo diversi da quelli che accompagnano tutti gli ex detenuti. È questo che Roberto Gramola – 22 anni di carcere terminati 11 anni fa – testimonia con la sua parabola di riscatto, tanto da essere invitato ovunque quando c’è da parlare di cultura, studio e formazione professionale al di là delle sbarre. Normale e giusto che sia così, perché questo energico ottantenne dalla sua cella di Torino ha conseguito prima la maturità classica – lui che nella vita fuori era geometra ma non aveva mai esercitato come tale – e poi addirittura due lauree, in Giurisprudenza e Scienze politiche. “Il carcere - racconta a Radio Vaticana Vatican News - è un’istituzione totale che ti toglie tutto. Quando entri il trauma è forte, ti cambia il modo di vivere e ci vuole tempo per reagire, ma poi capisci che davanti hai solo due scelte possibili o aspettare la fine della pena seduto sulla branda a parlare con gli altri detenuti di cosa si combinerà fuori, oppure cercare di capire chi sei e soprattutto perché sei finito lì. Per me è stata un’occasione per ricominciare”.
Una giornata da studente in cella
Mettersi a studiare in carcere per Roberto diventa un modo di esercitare la propria libertà interiore, l’unica che gli è rimasta. “Prima dell’arresto - ricorda - non avevo mai fatto un lavoro sedentario, avevo sempre girato il mondo, sapevo che per me le quattro mura di una cella sarebbero stata una costrizione troppo grande. Dai miei compagni ho ricevuto tantissimo aiuto: quando dovevo studiare loro guardavano la televisione senza l’audio, e per persone costrette a trascorrere in una stanzetta la maggior parte della loro vita con la tv come unica finestra sul mondo, è stato un gesto incredibile di solidarietà come probabilmente non se ne vedono neanche fuori”. Così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, Roberto raggiunge tutti i traguardi che si è prefissato.
Riscoprire lo studio e il lavoro come valori
Roberto faceva il rappresentante di marmi e graniti. Girava l’Italia, poi l’Europa e, negli anni Settanta, anche Stati Uniti e Sudamerica, dove incontra i narcotrafficanti con cui collabora fino all’arresto, nel 1997. “Studio e lavoro nella mia vita di prima non erano valori, ho sempre voluto fare meno fatica possibile – prosegue – i soldi, quelli sì erano sempre al centro dei miei pensieri: pensavo fossero l’inizio e la fine di ogni felicità e li ho sempre perseguiti, prima con il lavoro onesto e poi con il resto. Ho sempre messo me stesso al centro di tutto, finché sono arrivato in carcere e ho capito, anche attraverso l’intervento della Provvidenza”. È grazie alla Caritas di Torino che Roberto inizia a uscire con permessi di studio e lavoro, i suoi titoli e la sua capacità di parlare 7 lingue sono molto utili al lavoro che svolge quotidianamente con i migranti di tutto il mondo. “La Caritas ha fatto quello che avrebbe dovuto fare il carcere: ha creduto in me, mi ha dato la responsabilità di qualcosa oltre me stesso e io l’ho accettata, finalmente”. Oggi, dall’alto dei suoi 80 anni, Roberto non risparmia i propri consigli ai giovani: “Non lasciatevi attrarre dal denaro facile e da chi vi promette tutto e subito, applicatevi nello studio e nel lavoro perché solo facendo bene queste due cose otterrete l’autostima, uno dei beni più preziosi”. Oltre a conservare la libertà.
Il diritto all’istruzione universitaria nelle carceri italiane
Nasce nel 2018 la Conferenza nazionale universitaria dei poli penitenziari (Cnupp) che si pone l’obiettivo di fornire un modello, purtroppo spesso soltanto ideale, di come erogare l’istruzione universitaria a chi è rinchiuso in un istituto di pena, in termini di spazi adeguati, accesso alle biblioteche, alle risorse informatiche e alla didattica a distanza, tenendo conto che uno dei principali problemi delle carceri italiane è proprio il sovraffollamento. Oggi sono 40 i poli universitari penitenziari funzionanti, cui sono iscritti circa 1800 immatricolati, si tratta del 3% della popolazione ristretta, ma nonostante sia un dato esiguo, molti passi avanti sono stati compiuti negli ultimi anni. Attualmente i detenuti iscritti all’università sono per il 95,8% uomini, mentre le donne (che comunque costituiscono una minoranza della popolazione carceraria) sono circa il 4,2%; gli stranieri, infine, rappresentano il 10,4%. In crescita il numero degli studenti universitari degli atenei collaboranti che decidono di diventare tutor per i colleghi ristretti, mentre tra le criticità maggiori c'è la questione dei libri di testo, difficili da reperire e da coprire da un punto di vista finanziario.
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