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La partita di sitting volleyball Ucraina-Iran La partita di sitting volleyball Ucraina-Iran

L’Ucraina paralimpica, il riscatto e la resilienza di atleti che vivono la guerra

A Parigi gareggiano anche le vittime del conflitto in atto con la Russia. Una squadra che vive sulla propria pelle le ferite della violenza e che sta dimostrando la capacità di superare i propri limiti per arrivare ad una medaglia sportiva e non al valor militare

di Giampaolo Mattei

Quando è stato ferito nei feroci combattimenti vicino alla città di Bakhmut, nel marzo dello scorso anno, il giovane soldato ucraino Yevhenii Korinets — paramedico militare — pensava proprio di morire. Era certo di non avere scampo e che la sua vita sarebbe finita lì, sotto i colpi dei russi, nella parte orientale della sua Ucraina.

Gli era stata amputata la gamba sinistra, fino all’anca. «Avevo praticamente già detto addio alla vita» ricorda. «Nella disperazione più nera, c’era un solo pensiero nella mia mente: ho 25 anni, non ho viaggiato da nessuna parte, non ho visto il mondo e ora sto morendo qui».

Dopo diciassette mesi da quei momenti, però, la vita di Yevhenii è cambiata. Radicalmente. Tanto che ora è a Parigi con la nazionale di sitting volley a giocarsi una medaglia (esordio non positivo: sconfitta con l’Iran). Una medaglia sportiva, non al valore militare. «La nazionale ucraina di sitting volley mi ha ridato la vita quando ero sicuro di averla persa per sempre» dice. «E ho viaggiato, io che non ero mai uscito di casa, negli Stati Uniti, in Cina, in Europa... fino a Parigi».

Yevhenii è uno dei 140 atleti ucraini che stanno partecipando alle Paralimpiadi, in 17 discipline sportive. Per loro, così come per i loro colleghi olimpici, i Giochi hanno un significato “particolare” dopo l’invasione da parte della Russia, «che ha lasciato migliaia di soldati e civili con ferite mortali».

Yevhenii racconta che lo sport «è stato per lui di grande aiuto nel recupero dopo la perdita della gamba». La riabilitazione, riconosce, è una sfida enorme: «Tutte le discipline sportive dovrebbero essere diffuse ancora di più nelle nostre città, in modo che i veterani di guerra, resi fragili dalle ferite, non stiano a casa senza sapere cosa fare, rischiando depressioni».

Originario di Zhytomyr, Yevhenii ha idee chiare sugli obiettivi alle Paralimpiadi: «La vittoria, non abbiamo bisogno di altro!». Il team ucraino, del resto, ha una forte tradizione: ai Giochi di Tokyo nel 2021 ha ottenuto 98 medaglie (24 ori), classificandosi al sesto posto per Nazioni. Un successo che non ha destato sorpresa: fin dal suo debutto alle Paralimpiadi, nel 1996 ad Atlanta, l’Ucraina si piazzata sempre molto bene, con uno straordinario terzo posto nel 2016 a Rio de Janeiro. È un fatto che l’Ucraina vada meglio alle Paralimpiadi che alle Olimpiadi.

Il segreto di questi successi paralimpici è Invasport, l’organizzazione statale, con sedi in tutto il Paese, che comprende club sportivi, centri di riabilitazione e scuole sportive per bambini e ragazzi con disabilità. Invasport, in pratica, scova talenti in tutto il Paese, offrendo formazione specializzata in varie strutture.

Nonostante la guerra, l’Ucraina ha fortemente voluto schierare una squadra di alto livello alle Paralimpiadi. Proprio per il valore simbolico di questi Giochi in tempo di guerra, tra riscatto, resilienza e capacità di superare i propri limiti. E le atlete e gli atleti ucraini sono favoriti in molte gare.

Oltretutto tra i 140 partecipanti ci sono sportivi che — come Yevhenii — hanno vissuto sulla propria pelle la brutalità della guerra. Tra questi il nuotatore Danylo Chufarov, 5 medaglie paralimpiche, la cui casa a Mariupol è stata distrutta dai russi. «Ero pronto a morire lì» ha dichiarato. Chufarov ha partecipato, con un “cameo”, al docu-film di Mstyslav Chernov  20 Days in Mariupol che ha vinto il premio Oscar 2024 come miglior documentario. Ma poco dopo la fine delle riprese è stato costretto precipitosamente a fuggire. «Ho fatto fatica ad allenarmi ma poi ho vinto tre titoli mondiali» racconta.

Anna Hontar, nuotatrice ventenne, bronzo giovedì alle Paralimpiadi di Parigi sui 50 stile libero (stesso risultato di Tokyo), vive in Finlandia dopo essere fuggita dalla città occupata di Kherson. Intrappolata in casa per un mese, suo padre le ha costruito una palestra improvvisata. «Ha messo della gomma su alcuni binari del muro e io potevo imitare lo stile libero, la farfalla e il dorso» racconta Anna. «Era troppo pericoloso uscire. C’erano scontri per le strade». Con questa artigianale “preparazione”, è diventata campionessa del mondo.

Lo schermidore paralimpico Andrii Demchuk — oro a Rio de Janiero nel 2016 — ha attraversato il confine con la Polonia — insieme con la moglie e i due figli — subito dopo l’invasione. A Varsavia ha iniziato ad aiutare altri rifugiati ucraini, con tende, sacchi a pelo e beni di prima necessità. Senza una gamba, Andrii non riusciva a guidare la jeep con i soccorsi: e così, «con un sistema non convenzionale», ha usato la sua spada per premere la frizione.

In Polonia ha trovato due amici schermidori che lo hanno fraternamente sostenuto: Grzegorz Pluta — oro a Londra nel 2012 — e Stefan Makowski, argento ad Atene nel 2004. Insieme sono andati in 40 scuole, incontrando 10.000 bambini, per parlare di pace, per fare in modo che non avessero traumi per la guerra: «Abbiamo testimoniato ai bambini, polacchi e ucraini, che lo sport ha valori e che le persone, soprattutto quelle con disabilità, non si devono mai arrendere».

Andrii ha fatto ritorno di recente in Ucraina, a Lviv, sua città natale. Nell’ospedale militare è accanto ai militari feriti, aiutandoli ad adattarsi alle protesi. «Li conquisto perché sono uno sportivo e un amputato: quindi si fidano di me» confida Andrii, che salirà in pedana a Parigi anche per loro. E se perderà con i suoi amici polacchi Grzegorz e Stefan...  è come se avesse vinto.

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31 agosto 2024, 13:00