A duecento anni dalla nascita di Anton Bruckner, compositore a lungo incompreso
di Marcello Filotei
Anton Bruckner era un fenomeno a suonare l’organo, apprezzatissimo, una specie di pop star, ma non gliene importava niente. Lui voleva scrivere sinfonie. A lungo però delle sue fatiche orchestrali era il pubblico a non interessarsi. La critica si limitava a stroncarle con malcelato disprezzo. Sarebbe una storia triste ma banale, se non fosse che Bruckner, a duecento anni dalla nascita, il 4 settembre del 1824, è riconosciuto come uno dei maggiori sinfonisti della storia.
Oggi il Maestro di Ansfelden, in Alta Austria, è una specie di monumento, ma ai suoi tempi si pensava che dopo Beethoven le sinfonie avessero raggiunto una vetta insuperabile e soprattutto che il linguaggio orchestrale non potesse prendere un’altra strada. Ne fece le spese anche Mahler, pure lui apprezzato come direttore d’orchestra e non come compositore.
Bruckner ci ha sofferto, ma non si è fermato, anche perché era abituato ad andare per la sua strada fin da piccolo. Primo di 11 figli si ritrovò orfano a dodici anni. Il padre era maestro in una piccola scuola e visto che all’epoca gli insegnanti svolgevano anche il compito di organista in chiesa, il piccolo Anton entrò in contatto con la musica da giovanissimo. Alla morte del padre la madre lo mandò come corista nel vicino monastero di Sankt Florian, dove ricevette lezioni di organo. Proprio sotto quello strumento attualmente è sepolto su sua esplicita richiesta.
Divenne organista di corte, il pubblico lo amava, soprattutto per il suo talento nell'improvvisazione, suonò nelle cattedrali di Nancy e Parigi, al matrimonio della figlia minore dell'imperatore Francesco Giuseppe I, a Londra diede concerti davanti a decine di migliaia di persone. Tutti lo volevano ascoltare, ma a lui non interessava, perché il suo obiettivo era scrivere sinfonie. A Vienna però non lo presero in considerazione come compositore. I Filarmonici si rifiutarono di mettere in programma lavori ritenuti troppo lunghi e inutilmente difficili. Durante un'esecuzione della Terza al Musikverein la maggior parte del pubblico abbandonò la sala durante il concerto.
Solo all'età di 60 anni, dodici anni prima della sua morte, ci fu la svolta. Lo stesso Eduard Hanslick, importante critico musicale fermamente contrario alle opere di Bruckner, nella recensione scritta all’indomani della prima esecuzione viennese della Settima Sinfonia ne prese atto senza rinunciare alle proprie idee: «Certo non era mai capitato a nessun compositore di esser chiamato alla ribalta quattro o cinque volte dopo ciascun movimento. Bruckner è il nuovo idolo dei wagneriani. Ammetto senza giri di parole di non essere in grado di giudicare con equilibrio questa Sinfonia di Bruckner, tanto mi sembra innaturale, rigonfia, malaticcia e putrescente. Come tutte le composizioni maggiori di Bruckner, anche la Sinfonia in mi maggiore contiene intuizioni geniali, passi interessanti, persino belli - qui sei, là otto battute - tra questi lampi però si spalanca un buio impenetrabile, una noia pesante come piombo e un'eccitazione febbrile».
Il successo era arrivato, ma la vita era quasi finita. Il compositore ebbe il tempo di scrivere altre due sinfonie, lasciando incompiuta l’ultima, la Nona. Nel crepuscolo della sua esistenza il compositore austriaco decise di concentrarsi prima sulla vita terrena e poi su quella celeste dedicando l’Ottava Sinfonia «all’imperatore Francesco Giuseppe» e la Nona «Al buon Dio». Ma non fu una illuminazione improvvisa. Da quando a dieci anni cominciò a suonare l’organo in chiesa Bruckner indirizzò tutto il suo talento verso l’esaltazione dell’Onnipotente, il senso profondo della sua poetica risiede in un’idea di trascendenza che rimane intatta di fronte a qualsiasi avvenimento terreno.
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