Da detenuto panettiere a responsabile del panificio del carcere
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Prima voleva che le giornate passassero in fretta, una di seguito all’altra, in un vortice che l’avrebbe condotto più velocemente verso la fine della pena. Ora che quel giorno è arrivato ed è stato oltrepassato, pur rientrando quotidianamente in carcere, vorrebbe che le giornate non finissero mai: “Perché lavorare è bello ed è importante”. È tutta in queste poche parole la storia di Massimiliano, la storia di uno che ce l’ha fatta e oggi è un esempio per gli altri detenuti, innanzitutto per i 12 con cui lavora dentro il laboratorio di panificazione della casa circondariale di Cuneo, da cui escono pane e focacce acquistate da diversi esercizi e pale alla romana che vengono esportate addirittura a Londra, a Zurigo e in Romania.
Riempire il vuoto della detenzione
La nuova vita di Massimiliano è partita da qui, dall’esigenza di fare qualcosa in un luogo dove da fare c’è ben poco: “Per me era impensabile restare tutto il giorno chiuso in cella – racconta a Radio Vaticana-Vatican News – così, anche se avevo un passato da muratore, ho iniziato a studiare alla scuola alberghiera, ho preso due diplomi, di sala e di cucina, e poi c’è stata questa occasione di lavorare nel panificio di Panaté”. Di opportunità come questa in carcere dovrebbero essercene di più: “Il lavoro in carcere è una possibilità che tutti i detenuti che possono dovrebbero cogliere – afferma Massimiliano – io non so cosa farei adesso se non fosse stato per Panaté. Mi sarei trovato fuori da solo, in mezzo alla strada, invece con questo lavoro, anche quando stavo dentro, ho potuto risparmiare così, una volta uscito, ho comprato una macchina e affittato un appartamento. Ho potuto ricominciare”.
Lo scontro con il pregiudizio
Al momento del fine pena, però – uno dei più delicati della vita detentiva – anche Massimiliano ha dovuto scontrarsi con il pregiudizio che c’è fuori: “All’inizio nonostante avessi un lavoro non volevano affittarmi una casa – racconta – la gente ha sempre pregiudizi, ma poi riesce anche a superarli. Ora chi mi conosce ha cambiato opinione sul carcere e sulle persone che lo abitano; è stato bello smentirli”. Una vita completamente cambiata, quella di Massimiliano che oggi, a ragione, si sente un uomo nuovo: “Io posso dire di avercela fatta, ho una vita normale, non ho più paura – conclude – anche il carcere, dove torno ogni mattina per lavorare, non mi fa più effetto e sono contento di poter essere utile a chi è ancora detenuto e mi chiede consiglio non solo sul lavoro, ma su tutto”.
Panaté e il mondo del lavoro in carcere
La cooperativa “Panaté Glievitati” è un progetto nato nel 2019 a Cuneo, che poi è stato esteso anche alla casa di reclusione di Fossano, sempre in Piemonte, e da poco conta anche un punto vendita esterno, in quel di Magliano Alpi. È una realtà lavorativa vera e propria come ce ne sono molte, ma mai abbastanza in Italia, per soddisfare pienamente il dettame dell’articolo 27 della nostra Costituzione che vuole la pena non punitiva bensì riabilitativa per i detenuti. Dai dati forniti dal Cnel – il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro – nel 2023 il lavoro in carcere è in grado di abbattere la recidiva dalla media nazionale che si attesta intorno al 70%, addirittura fino al 2%. “I detenuti sono una risorsa e lo Stato deve capirlo; laddove non ci sono realtà esterne come Panaté si possono comunque impiegare per la pulizia delle strade o delle fognature, anche come alternativa al carcere, perché non si può stare tutto il giorno in una cella”. E questo è il pensiero di uno che ce l’ha fatta.
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