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Lo schermidore paralimpico Amelio Castro Grueso Lo schermidore paralimpico Amelio Castro Grueso 

Paralimpiadi, quando la vera medaglia è avere una casa e salire su un bus

La storia dello schermidore Amelio Castro Grueso, a Parigi con il Team paralimpico dei rifugiati

di Giampaolo Mattei

Punto a punto, stoccata dopo stoccata. Stamani a Parigi, sulla pedana di scherma paralimpica, a tu per tu con il numero 1 del ranking mondiale. Ma punto a punto, stoccata dopo stoccata, anche (e sempre) nella vita: a tu per tu con chi ha ucciso sua madre (aveva appena 16 anni), con l’esperienza di 4 anni di solitudine in ospedale per la paralisi delle gambe in seguito a un incidente e poi con lo status di rifugiato in Italia, dove è arrivato nel settembre 2022, accolto dalla Caritas.

Amelio Castro Grueso stamani ha perso con il brasiliano Jovane Guissone (già campione paralimpico a Londra e bronzo a Tokyo) agli ottavi di finale. Se l’è giocata fino all’ultimo, alla pari. Proprio come nella vita: Amelio se la gioca sempre. Poi ai ripescaggi per arrivare al bronzo (il torneo andrà avanti fino a stasera) se l’è vista con l’ungherese István Tarjányi, vincendo 15-4, e con il cinese Daoliang Hu.

Con indosso la tuta del Team paralimpico dei rifugiati, Amelio stamani ha percorso la pedana paralimpica rivivendola proprio tutta la sua straordinaria vita. Come dentro un film, in quei pochi metri, sulla sedia a rotelle, Amelio ha caricato la sua spada di dolore e di speranza, di sofferenza e di una resilienza che sgomenta. Provoca. Sì, sgomenta, provoca, perché Amelio sorride. Sorride sempre. Tra pochi giorni perderà il diritto all’alloggio nel Centro del Sistema accoglienza e integrazione di 2° livello, a Centocelle. Eppure sorride. Certo, la preoccupazione per il futuro immediato c’è. «Ma il mio sorriso non lo perdo perché sono una persona fortunata: ho Dio sempre con me!». E un rosario benedetto da Papa Francesco.

A sostenere Amelio c’è una “rete” di amici capitanati dal suo coach — quasi un secondo padre — Daniele Pantoni che alle Olimpiadi ha visto due sue atlete vincere l’oro (Fiamingo e Santuccio).

Ora gli atleti paralimpici potrebbero diventare “fantasmi”: dopo l’emozionate condivisione delle loro storie straordinarie, c’è il rischio che vengano messi da parte, nel cosiddetto “dimenticatoio” insieme ai loro diritti, per essere rispolverati tra quattro anni, ai Giochi di Los Angeles (con tanto di fiumi di parole per l’inclusione).

Amelio da domani avrà a che fare, sulla pedana della vita, con il problema di non avere una casa. Dovrà fare i conti su dove e cosa mangiare e su come spostarsi per quella giungla che sono le strade di Roma: mezzi pubblici e stazioni della metro sono inaccessibili per le persone con disabilità. Per prepararsi alle Paralimpiadi Amelio ha percorso ogni giorno, con la sua carrozzina, il tragitto dal Centro di accoglienza dove vive alla palestra delle Fiamme oro (il Gruppo sportivo della Polizia che lo ha accolto a braccia aperte): due ore all’andata, altrettante al ritorno.

Scrive Papa Francesco nella prefazione del libro Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi pubblicato a cura di Athletica Vaticana: «Penso alle atlete e agli atleti con disabilità. Sono sempre sbalordito guardando le loro prestazioni e ascoltando le loro parole. L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che persone — pur fortemente ferite nella vita — riescono a raggiungere quando sono messe nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita (...). Con lo sport si può — si deve — coltivare la consapevolezza di cambiare la percezione della disabilità nella quotidianità in una famiglia, di una scuola, di un posto di lavoro».

Ora la medaglia da vincere — per tutti — è fare in modo che Amelio abbia una casa, una vita che sia degna. E che a Roma ci siano pedane perché possa salire con la carrozzina sui bus e ascensori (non eternamente guasti) nelle stazioni della metro.

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06 settembre 2024, 15:42