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Skorka: lo Yom Kippur, messaggio universale che spinge alla fraternità

Su L’Osservatore Romano il rabbino emerito del Seminario Rabbinico Latinoamericano di Buenos Aires riflette sul significato spirituale del Giorno dell’espiazione per gli ebrei: una sfida, al di là della fede personale, a ricercare la riconciliazione con Dio e con gli altri

di Abraham Skorka

Secondo i saggi talmudici, il capitolo 19 del libro biblico del Levitico è quello che contiene la maggior parte degli insegnamenti centrali della Torah. Il secondo versetto sottolinea che i concetti espressi nel capitolo sono stati spiegati da Mosè alla presenza di tutta la congregazione d’Israele, come quando sono stati consegnati i Dieci Comandamenti che, secondo il rabbino Levi (Vayikra Rabba, Kedoshim 24:5), sono presenti in questo capitolo. Il famoso precetto «ama il prossimo tuo come te stesso», considerato da Hillel (b. Shabbat 31a), dal rabbino Akiva (Sifra Kedoshim, 2, 4) e da Gesù (Matteo, 22, 36-40) come una sintesi di tutti gli insegnamenti della Torah, si trova nel versetto 18. Questo è il capitolo in cui l’espressione «Io sono il Signore» è ripetuta più volte (sedici) nell’intera Bibbia. È come se l’“Io” di Dio possa essere proiettato sulla terra attraverso un comportamento umano che rispecchia i concetti di amore, giustizia, pietà e misericordia che caratterizzano la santità di Dio.

«Siate santi perché io, il Signore Dio vostro, sono santo» è il primo precetto presentato nel capitolo. I saggi del Midrash (Sifra Kedoshim, 1) comprendono che, sebbene la santità di Dio sia intrinseca alla natura divina, quando i Figli d’Israele agiscono secondo i valori sacri prescritti in questo capitolo è come se santificassero Dio nella realtà terrena.

Poiché la maggior parte dei principi contenuti in questo capitolo riguarda l’interazione tra le persone, è evidente che quando qualcuno fa un torto al prossimo riduce la sacralità della presenza divina nell’umanità.

Prima del Giorno dell’espiazione ogni ebreo deve risolvere tutti i conflitti e i confronti che ha avuto con il suo prossimo, e in quel giorno deve cercare un incontro con Dio. È il momento in cui si compie una resa dei conti spirituale. Nel corso di tale processo, la persona rivela e riconosce qualsiasi sofferenza che potrebbe aver causato, qualsiasi impulso distruttivo che potrebbe avere suscitato atti iniqui e qualsiasi falso dio che potrebbe avere rincorso. Attraverso tali azioni viene concesso il perdono di Dio e inizia un tempo nuovo in cui ci viene data una nuova opportunità di consacrare Dio in Terra.

L’essenza dello Yom Kippur — che quest’anno si celebra il 12 ottobre (ma la festività comincia la sera precedente) — sfida ogni individuo, a prescindere dalla sua credenza. Se tutte le persone abbracciassero l’idea che l’esistenza umana ha un significato profondo nell’universo ed esige che agiamo con giustizia, misericordia, gentilezza e amore, allora ci sarebbero momenti in cui ognuno rifletterebbe sul proprio comportamento alla luce di tale comprensione. Queste riflessioni porterebbero i credenti a riconciliarsi con Dio e i non credenti a riconciliarsi con se stessi. Ciò rappresenta un allargamento del messaggio biblico dello Yom Kippur alle persone di tutte le credenze che condividono un profondo rispetto per la vita.

La liturgia dello Yom Kippur prevede la lettura dell’intero testo del profeta Giona, che narra la storia del pentimento degli abitanti di Ninive (capitale del nemico d’Israele, l’impero assiro) per le loro iniquità. Dio aveva inviato il profeta per metterli in guardia dalla loro malvagità al fine di evitare la distruzione della città. I niniviti risposero cambiando sinceramente i loro modi. Nella Mishnah (Taanit 2:1) viene riferito che nei giorni di digiuno e preghiera i rabbini nei loro sermoni solevano indicare il popolo di Ninive come esempio da seguire. Inoltre, nei libri dei profeti, in particolare Amos, 1-2, l’esortazione a ritornare a Dio correggendo le azioni inique vale sia per Israele sia per tutti i popoli e le nazioni.

Quanti vivono in uno stato di caos costante, distruggendo tutto ciò che li circonda, finiscono col distruggere se stessi e i propri cari. Risolvendo i conflitti con il prossimo e superando gli atteggiamenti negativi è possibile raggiungere uno stato di pace interiore e permettere agli esseri umani di realizzare la grandezza desiderata da Dio.

Genesi, 32, 25-30 narra l’incontro di Giacobbe con il fratello Esaù, un incontro temuto da Giacobbe. La sera prima Giacobbe aveva lottato per ore con un angelo. Secondo un Midrash che commenta questo episodio, Bereshit Rabbah, 77, 3, quell’angelo non era altro che il custode di Esaù. Lottarono tutta la notte e all’alba Giacobbe sconfisse l’angelo. La considero una metafora della lotta interiore di Giacobbe per superare il conflitto con il fratello. L’angelo benedisse Giacobbe, mutò il suo nome in Israele, e poi Giacobbe incontrò Esaù, sicché finirono con l’abbracciarsi e lasciarsi alle spalle l’odio che li aveva separati in passato.

Questa lotta rispecchia il processo che ogni ebreo e l’intero popolo ebraico devono affrontare a Yom Kippur. È la ricerca per vincere l’odio e riconoscersi gli uni gli altri e riconoscere tutti i popoli come fratelli e sorelle.

 

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11 ottobre 2024, 16:28