Il dopo Sinwar, aperta la partita per la successione al vertice di Hamas
di Roberto Cetera
Molti sapevano che il tempo rimasto a Yahya Sinwar di essere libero fosse ormai breve. Tant’è che quando il 6 agosto scorso l’Ufficio politico di Hamas lo nominò capo dell’organizzazione si moltiplicarono le interpretazioni più disparate. Chi diceva che i suoi compagni gli avevano voluto riservare l’onore di morire come capo supremo, chi invece immaginò che fosse una mossa furba per sospingere gli israeliani a dargli la caccia, dando tempo al vertice di riorganizzarsi dopo l’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh; chi infine pensava che gli israeliani lo avessero già in trappola da tempo e aspettassero solo il momento politicamente più conveniente per ucciderlo.
Nel brevissimo periodo in cui Sinwar è stato capo di Hamas, e nel più lungo periodo in cui è stato leader a Gaza, ha gestito il suo potere con molta durezza sia nella gestione del territorio che della sua stessa organizzazione. Ad esempio, tre anni fa, impose una seconda tornata di elezioni per la presidenza dell’ufficio politico di Hamas di Gaza, dopo che la prima era andata a favore di Nizar Awadallah.
Forse più di ogni altro dirigente del movimento, Sinwar ha impersonato il profilo tutt’altro che monolitico di Hamas, enfatizzando il ruolo della costituency di Gaza rispetto alle altre tre dell’organizzazione (cisgiordani, detenuti, e esteri), e pretendendo che l’ala militare assumesse il ruolo di quinta costituency, sottraendola di fatto al controllo politico.
Cosa succederà ora? Hamas ha saputo finora sempre gestire la decapitazione dei suoi vertici. In linea di massima ognuno dei capi delle quattro costituency , e cioè Kalid Misha’al capo della diaspora estera, Khalil al-Hayeh capo a Gaza, e poi Mussa Abu Marzouq e Mohammad Darweesh, potrebbero succedere a Sinwar nella leadership generale. Alcuni pensano che la scelta ricada su Mish’al, che ha già ricoperto questo ruolo per molti anni fino al 2017, quando lasciò il posto a Haniyeh. Mish’al risiede a Doha.
La morte di Sinwar aggrava la difficile situazione in cui l’organizzazione si trova dopo un anno di guerra. Contestualmente, alcuni pensano che l’Organizzazione per liberazione della Palestina (Olp) sia nella fase più fragile della sua esistenza, e che Sinwar rappresentava il maggior ostacolo per la ripresa di un dialogo tra tutte le fazioni palestinesi per il raggiungimento di un’espressione unitaria.
Ma, al di là delle questioni interne palestinesi, la scomparsa di Sinwar apre un nuovo scenario anche per Israele. Teoricamente Netanyahu potrebbe ormai dire di aver vinto la guerra, anche se rimane tutta aperta la questione degli ostaggi, su cui ci sarà da attendere nei prossimi giorni una rinforzata pressione dell’opinione pubblica israeliana verso il negoziato e il cessate Il fuoco. Ma dall’altro lato, oltre il successo militare, non sono finora chiarite quali siano le intenzioni del governo israeliano sulla futura gestione di Gaza. E la continuazione della guerra appare allora come una presa di tempo per sopperire alla mancanza di strategia.
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