Torture sui migranti. Le testimonianze dalla nave Mare Jonio
Stefano Leszczynski - Città del Vaticano
Braccialetto n.16 di anni 19: percosso quotidianamente per ventitre giorni con asta di metallo a livello di arti, tronco, gambe e testa. Braccialetto n.33 di anni 25: presenta segni visibili di torture a livello di arti e in regioni intime. Braccialetto n.15 di anni 22: riferisce che i video delle torture subite sono stati inviati alla famiglia nel paese d’origine per incentivare il pagamento del riscatto.Cittadino sudanese di anni 22: ferite lacero contuse al piede sinistro, riferisce che dopo un tentativo di fuga dalla prigione di Al Assah, in Libia, i carcerieri come messaggio ammonitore hanno scelto una persona tra i fuggitivi, l’hanno cosparsa di benzina e arsa viva. Per evitare ogni possibile fraintendimento o dubbio ciascun referto medico di questi “atti deliberati di violenza umana” è documentato con materiale fotografico. La nostra fonte è il report stilato dal medico di bordo della nave Mare Jonio dell’ong Mediterranea Saving Humans che all’inizio della scorsa settimana ha salvato 58 migranti alla deriva nel Mediterraneo.
Deliberata violenza umana
“Il denominatore che accomuna tutte le persone che riusciamo a trarre in salvo è la violenza che subiscono nei lager libici, nell’attraversamento del confine tra Tunisia e Libia e in generale durante il viaggio che poi le porta ad essere soccorse”. A parlare con i media vaticani è il dottor Francesco Nastasio, che presta servizio medico a bordo della Mare Jonio. “Lavoro nel pronto soccorso di un ospedale di Milano dove sono abituato a gestire anche ferite provocate dalla violenza umana” spiega il dottor Nastasio “ma quello che vedo sui corpi delle persone salvate in mare e che sento dai loro racconti è qualcosa che fa rabbrividire, gela il sangue nelle vene”.
I confini sulla pelle
Neppure dopo sei anni di esperienza in mare come attivista dell’ong Mediterranea questo giovane medico, specializzando in medicina d’urgenza e d’emergenza, riesce ad abituarsi all’orrore che vuole testimoniare: “La mia speranza è che l’opinione pubblica, e anche le persone a noi vicine, possano rendersi conto di quello che succede. Perché sono le ferite che queste persone portano addosso che rappresentano il vero confine, quello che separa la nostra vita dalla loro”. Un confine molto visibile e tangibile, a differenza dei confini invisibili tracciati dall’uomo sulle mappe.
Persone vulnerabili
Oggi i 58 salvati dalla Mare Jonio sono al ‘sicuro’ a Porto Empedocle, mentre la nave dell’ong è stata sottoposta a fermo e sanzionata perché non certificata dalle autorità come natante adeguato al soccorso in mare. I migranti giunti in Italia inizieranno ora un lungo percorso burocratico per stabilire ad esempio se siano persone ‘vulnerabili’ o da destinare a centri come quelli costruiti in Albania, se non addirittura da rimpatriare.
Il senso di impotenza
“Quello che provo ogni volta dopo una missione di soccorso” – conclude il dottor Francesco Nastasio – “è un profondo senso d’impotenza e di ingiustizia per il fatto di vivere in un mondo inadeguato, anche perché spesso si vorrebbe respingere queste persone nei Paesi in cui sono state torturate e che vengono definiti ‘sicuri’ dal governo italiano”.
Un mare di morti
Secondo i dati più recenti diffusi dall'Organizzazione internazionale delle Migrazioni (Iom) dall'inizio del 2024 fino al 12 ottobre, sono stati 522 i morti e 731 i dispersi nella rotta del Mediterraneo centrale. Nello stesso intervallo di tempo, precisa l'agenzia internazionale, i migranti intercettati in mare e riportati in Libia sono stati 18.646, di cui 16.386 uomini, 1.330 donne, 619 minori e 311 persone per cui non sono disponibili dati di genere.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui