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Lyudmyla e Yuliya, le due amiche ucriaine protagoniste della storia Lyudmyla e Yuliya, le due amiche ucriaine protagoniste della storia 

Ucraina, storia e missione di due amiche: aiutando gli altri, salviamo noi stessi

Per Lyudmyla, psicoterapeuta di Kyiv, «la terapia, prima di tutto, è un incontro umano: una persona incontra un'altra nel lutto e nel dolore». Yuliya, che vive e lavora a Roma, confessa: «Posso dire che il volontariato mi ha salvato». Le due donne legate dall’amicizia e dal desiderio di dare sostegno a chi ne ha bisogno senza dimenticare sé stesse

Svitlana Dukhovych - Città del Vaticano

Yuliya Orlenko e Lyudmyla Yalova sono originarie della regione di Sumy, al nord dell’Ucraina. Le abbiamo incontrate a Roma. «Negli ultimi 25 anni - dice Lyudmyla - ho vissuto a Kyiv. Sono una terapeuta della Gestalt, lavoro con adulti e adolescenti. Sono venuta a Roma per trovare la mia amica Yuliya. Veniamo dallo stesso paese e siamo amiche da più di 25 anni. Ancora prima della guerra avevo la tradizione di venire a Roma una volta all'anno. Amo molto questo Paese: mi sembra che noi ucraini abbiamo tante cose in comune con gli italiani: amore per la vita, ospitalità, amore per il cibo, per la bellezza, per la famiglia e la storia».

«Io - racconta Yuliya - vivo a Roma dal 2004. Cosa mi ha portato qui? All'inizio volevo imparare l'italiano, poi ho vissuto a Kyiv per un po'. Lì ho lavorato con degli italiani e poi ho deciso di tornare a Roma perché qui mi sono sentita a casa. Ho lavorato per molto tempo per una compagnia aerea che si occupava di voli privati, quindi ho lavorato con i turisti dal mio Paese. Ora lavoro per un'altra azienda che gestisce una piattaforma per gli avvocati».

“Unа persona umana ha bisogno di un’altra persona umana”

Sebbene dall’inizio dell’invasione russa siano passati più di due anni e mezzo e le notizie e le immagini di morte e distruzione non provochino più lo shock dell’inizio, l’ansia e il dolore rimangono quasi costanti. Sono come il sottofondo che accompagna gli ucraini ovunque vadano e qualsiasi cosa facciano. Le due amiche ucraine hanno condiviso la loro esperienza su come affrontano questo stress della guerra: Lyudmyla a Kiev, dove si sente spesso l’allarme antiaereo, e Yuliya a Roma, in un posto lontano dalla guerra ma dove a volte l'immaginazione crea un quadro ancora più spaventoso di ciò che potrebbe accadere alla sua famiglia in Ucraina.

Nel suo lavoro di psicoterapeuta, Lyudmyla tocca ogni giorno il dolore e la sofferenza di altre persone. Questo non rende tutto ancora più difficile? «Paradossalmentе - spiega - quando ho ripreso a lavorare con i pazienti a due mesi dall'inizio dell'invasione su larga scala, mi sono sentita meglio. Perché una persona ha bisogno di una persona. La terapia, prima di tutto, è un incontro umano: una persona incontra un'altra nel lutto e nel dolore. E ancora di più se viviamo nello stesso contesto dei nostri pazienti. Nei primi giorni di guerra non potevo lavorare perché stavo in un rifugio con i miei amici a Kyiv. Uno dei miei pazienti si trovava in un luogo occupato dai russi, stava in una cantina e ci sentivamo tramite messaggi. Non posso dire che  con lui si trattasse di una psicoterapia classica, perché il codice etico non lo prevede. Ma il codice etico non prevede nemmeno la guerra. Per questo la terapia è una persona. Nel nostro rifugio si trovavano circa trenta bambini. Uno dei miei pazienti si era offerto di portarci del cibo e io ho pensato: “Questo è un paziente, forse bisogna pensare al codice etico...”. E poi mi sono seduta e ho pensato: “Domani potremmo non esserci più”. Ciò che ci rende umani e ciò per cui esiste la terapia, è l'empatia, l'essere una persona umana accanto a un altro essere umano. Quindi, da un lato, a volte è difficile sopportare il dolore di un altro, perché è troppo forte. Ma credo sia proprio questo che ci salverà, per non “congelarci” e iniziare a vivere questo dolore, senza deprimerci, anestetizzarci con l'alcol o altro. Il dolore si può vivere solo accanto a un essere umano».

Volontariato nell'ospedale Bambino Gesù

Anche l'esperienza di Yuliya conferma le parole della sua amica. L'invasione russa dell'Ucraina le ha causato ansia e shock. Tutte e due provengono dalla regione di Sumy, che confina con la Federazione Russa. Il 24 febbraio del 2022, quando le truppe russe hanno invaso l'Ucraina, hanno cominciato a conquistare anche parte della regione di Sumy. Il capoluogo della regione non è stato preso, ma lo sono state alcune altre città. Il 6 aprile dello stesso anno, le truppe russe sono state completamente rispinte dagli ucraini dalla regione. Durante tutto questo periodo sia i familiari di Lyudmyla, sia quelli di Yuliya sono rimasti lì ad eccezione di quando, nel momento più pericoloso, hanno trascorso un breve periodo in una altra regione del Paese.

Nonostante un forte stress, Yuliya ha continuato a lavorare. Come tanti altri ucraini in diversi Paesi del mondo, si è messa a raccogliere le medicine e le cose di prima necessità per spedirle poi nel suo Paese. La aiutavano tutti: gli amici italiani, i farmacisti della farmacia dove andava sempre… Ma emozioni e sentimenti non riusciva a condividerli con nessuno. «Mi sono sentita meglio quando ho iniziato a parlarne con la gente. Certo, non è stato facile, perché mi facevano un sacco di domande: volevano sapere come stavano le persone in Ucraina, di cosa avevano bisogno, come potevano aiutare ecc.».

Dopo un certo periodo dedicato alla raccolta di aiuti umanitari per Ucraina, Yuliya si è resa conto che avrebbe potuto essere più utile con le sue competenze professionali di traduttrice. Così ha scritto all'Ospedale “Bambino Gesù”, offrendo il suo aiuto. Dall’inizio della guerra a febbraio 2024, più di 2.500 minori provenienti dall'Ucraina sono stati curati presso l'ospedale pediatrico vaticano. Yuliya è ancora una volontaria del pronto soccorso dell'ospedale e a inizio 2022, quando ogni giorno arrivavano bambini dall'Ucraina, il suo sostegno, come quello di altri volontari, è stato davvero fondamentale. «Certo, può sembrare che il mio aiuto sia di poco conto - dice - ma quando le madri ucraine sentono la loro lingua, significa molto per loro. Anche dopo 3-4 minuti di comunicazione, già si sentono meglio».

Yuliya racconta che all'inizio pensava di non farcela. «Come tutti gli ucraini che si trovavano all’estero - confessa - stavo costantemente, 24 ore su 24, a leggere/guardare le notizie dall'Ucraina e vedendo le cose terribili che stavano succedendo, avevo crisi continue. Ho pensato che in quello stato non potevo andare dalle persone che erano fuggite da lì e che avevano sofferto tutto in prima persona. Poi però ho capito che le persone avevano davvero bisogno di me. Ho avuto anche un colloquio con la coordinatrice dei volontari dell'Ospedale Bambino Gesù e l'ho avvertita: “Non so se ce la faccio”. Lei mi ha risposto: “Prova, e vedrai”. E posso dire che questo mi ha salvato. Sono rimasta sorpresa, perché questo servizio mi ha aiutato a calmarmi e mi ha permesso di sostenere anche la mia famiglia, che ha fatto la scelta di rimanere lì».

Equilibrio tra l'aiuto agli altri e il prendersi cura di sé

Durante la guerra abbiamo sentito da molti ucraini quanto aiutare gli altri abbia permesso loro di superare ansia, stress e sofferenza. Ma come si fa a trovare un equilibrio tra l’aiutare gli altri e il prendersi cura di se stessi in una situazione di crisi? Lyudmyla racconta la sua esperienza personale. «Ho 44 anni e ho partecipato alle due rivoluzioni: la “Rivoluzione Arancione” nel 2004 e la “Rivoluzione della Dignità” nel 2013. E per la prima volta, durante la “Rivoluzione Arancione”, ho capito cosa fosse il volontariato, cosa fosse l'unità, ma anche cosa fosse il burnout: ovvero quando sei così appassionato di salvare gli altri - perché si trattava di sopravvivenza fisica - che perdi anche la sensazione fisica di stanchezza e fatica». Durante la Rivoluzione della Dignità, che ha dato inizio al vero e proprio movimento dei volontari in Ucraina, Lyudmyla ha cominciato la sua attività in una delle organizzazioni di volontariato più grandi di Kyiv. «Siamo stati i primi a incontrare gli sfollati provenienti dalle regioni di Donetsk e Luhansk: la gente - descrive - arrivava in pantofole e accappatoio ed è stato lì che ho avuto un esaurimento: a un certo punto mi sono resa conto che non mangiavo abbastanza. L’appetito è sempre un segnale importante perché se il nutrimento o altri bisogni fisiologici umani di base vengono ignorati, qualcosa non va».

La terapeuta spiega che quando vengono aiutati gli altri, soprattutto quando si tratta di un gran numero di persone, ci si sente coinvolti in qualcosa di molto grande, si è «in preda a una costante scarica di adrenalina» e spesso si ha la sensazione che «non è il momento per pensare a se stessi». Questo, assicura, «è una sorta di trappola. Ho visto molti miei amici volontari vivere il burnout e questa è stata anche la mia esperienza personale».

Come psicoterapeuta, Liudmyla consiglia di prendersi cura «prima di tutto di sé stessi, perché solo così possiamo aiutare gli altri». L'esperta aggiunge che in generale, nella cultura ucraina non si presta molta attenzione alla cura di sé. Ma questo è probabilmente dovuto ad alcune ragioni storiche, in quanto il popolo era costantemente costretto a combattere per la propria sopravvivenza. «Mi sembra - osserva - che solo negli ultimi dieci anni circa abbiamo iniziato a permetterci di pensare a noi stessi, ai nostri bisogni». Lyudmyla riferisce che negli ultimi anni, soprattutto dopo l’inizio dell’invasione russa, in Ucraina ci sono diffuse molte risorse gratuite dove è possibile ottenere aiuto psicologico sia per i bambini che per gli adulti: «Grazie a Dio, la cultura della psicoterapia nel nostro Paese è cambiata: chi si rivolge allo psicologo, psicoterapeuta, non viene considerato “malato di mente”, non si tratta più di psichiatria punitiva, come era nell'Unione Sovietica».

Сustodire il diritto a una vita dignitosa

Il completo disprezzo per i bisogni di natura spirituale e la mancanza di accesso a un aiuto psicologico adeguato non sono l'unica eredità del passato sovietico che le due amiche ricordano ancora. «Avevo undici anni - rammenta Lyudmyla - quando l'Ucraina ha riconquistato l'indipendenza. Quando ripenso all'Unione Sovietica, vedo un'immagine in cui tutto è uguale: dal modo di pensare ai vestiti e ai fiocchi per capelli, all'enorme carenza di tutto. Avevamo terra fertile, avevamo mani e teste, ma i negozi erano vuoti. Attraverso il sistema educativo si uccideva l'individualità, si formava un pensiero schiavo. A questo concorreva la propaganda, la censura e la distruzione della cultura ucraina a tutti i livelli, dai libri alla conoscenza della storia. Tutto questo plasmava un certo senso dell’inferiorità e di mancanza di dignità a livello sociale, dai bambini agli adulti. Ora invece stiamo cambiando come società. Sappiamo che, secondo la Costituzione, il popolo è il portatore della sovranità e l'unica fonte di potere. Stiamo riconquistando il diritto di decidere e credo che questa sia la trasformazione più profonda della società: riconquistare il diritto alla libertà di pensare. Unʼaltra cosa che, al contempo, stiamo sviluppando è la responsabilità. Ogni parola e azione deve essere seguita dalla responsabilità. Questo è lo sviluppo della nostra società. Stiamo finalmente sentendo la nostra dignità, custodendo e proteggendo il diritto a una vita dignitosa».

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10 ottobre 2024, 14:18