Enrico Fermi, uno sguardo oltre l’atomo e le piccole particelle
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Tra quanti hanno lasciato un segno profondo nella storia del Novecento, ci sono scienziati che hanno dato un contributo fondamentale alla fisica. Un nome di rilievo, in questo ambito, è quello di Enrico Fermi morto esattamente 70 anni fa. Il suo ritratto è quello di un grande scienziato che dedica la vita, in particolare, alle ricerche sulla struttura della materia, a leggi che regolano le dinamiche di piccoli elementi ma che hanno anche un grande impatto sulla storia del mondo.
Lo studio dell’atomo
La vita di Enrico Fermi è una successione di passi che accompagnano il cammino della scienza in anni scossi da conflitti e totalitarismi. Dopo gli anni di studio nella Scuola Normale di Pisa, ottiene a 28 anni la prima cattedra di Fisica teorica. A Roma guida un gruppo di ricerca composto da collaboratori molto giovani, i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”. Nel 1938 riceve il Premio Nobel per l'identificazione dei nuovi elementi radioattivi prodotti dal bombardamento di neutroni. Durante il secondo conflitto mondiale, prende parte al progetto “Manhattan” per la costruzione della bomba atomica e, dopo la guerra, analizza soprattutto le particelle elementari. Oltre a ricevere molti riconoscimenti, nel corso della vita viene nominato membro di diciotto accademie (nazionali e straniere). L’8 febbraio del 1948 Papa Pio XII, incontrando i soci della pontificia Accademia delle scienze, ricorda la scoperta di specifici elementi chimici, ovvero “dei transuranici intravisti da Enrico Fermi”. Nel suo discorso, “prescindendo dall’uso bellico della energia atomica, e nella fiduciosa speranza che essa sia volta invece unicamente ad opere di pace”, il Pontefice si sofferma sulle leggi della natura “che regolano l’intima essenza” e l’attività “della materia inorganica”. Le norme sull’atomo e sul suo nucleo accompagnano il lavoro di ricerca di Enrico Fermi fino alla morte, per un tumore allo stomaco, il 28 novembre del 1954 a Chicago.
Oltre la ragione
Il cuore della ricerca di Enrico Fermi si può inquadrare in uno sforzo costante: quello di vedere la realtà nella sua dimensione essenziale. Dai suoi allievi viene definito “il Papa della fisica” per la sua infallibilità scientifica. Quello di Fermi sul mondo non è uno sguardo plasmato unicamente dalla ragione. In base ad esempio ad una testimonianza attribuita a questo grande scienziato (M. Micheli, Enrico Fermi e Luigi Fantappié. Ricordi personali, “Responsabilità del sapere”) emergono anche orizzonti che vanno oltre il campo della scienza. Enrico Fermi, in particolare, avrebbe visto un giorno un contadino che “stando disteso sul prato con gli occhi volti alle stelle, esclamò, quasi obbedendo ad una ispirazione profonda: Com’è bello! E pure c’è chi dice che Dio non esiste”. “Quella frase del vecchio contadino in quel luogo, in quell’ora: dopo mesi di studi aridissimi, toccò tanto al vivo l’animo mio”.
I Papi e il dono della scienza
La vita di Enrico Fermi è un inno alla conoscenza, alla ricerca di ciò che è vero, essenziale. I Pontefici più volte si sono soffermati sul valore della scienza, sul dialogo tra fede e ragione. Francesco all’udienza generale del 21 maggio del 2014 sottolinea che il sapere scientifico è un dono.
Oggi vorrei mettere in luce un altro dono dello Spirito Santo, il dono della scienza. Quando si parla di scienza, il pensiero va immediatamente alla capacità dell’uomo di conoscere sempre meglio la realtà che lo circonda e di scoprire le leggi che regolano la natura e l’universo. La scienza che viene dallo Spirito Santo, però, non si limita alla conoscenza umana: è un dono speciale, che ci porta a cogliere, attraverso il creato, la grandezza e l’amore di Dio e la sua relazione profonda con ogni creatura.
Quando i nostri occhi sono illuminati dallo Spirito, si aprono alla contemplazione di Dio, nella bellezza della natura e nella grandiosità del cosmo, e ci portano a scoprire come ogni cosa ci parla di Lui e del suo amore. Tutto questo suscita in noi grande stupore e un profondo senso di gratitudine! È la sensazione che proviamo anche quando ammiriamo un’opera d’arte o qualsiasi meraviglia che sia frutto dell’ingegno e della creatività dell’uomo: di fronte a tutto questo, lo Spirito ci porta a lodare il Signore dal profondo del nostro cuore e a riconoscere, in tutto ciò che abbiamo e siamo, un dono inestimabile di Dio e un segno del suo infinito amore per noi.
“La scienza contribuisce molto al bene dell’umanità, - senza dubbio - ma non è in grado di redimerla”. Ruotano intorno a questo fulcro le parole pronunciate da Benedetto XVI all’Angelus il 2 dicembre del 2007:
Lo sviluppo della scienza moderna ha confinato sempre più la fede e la speranza nella sfera privata e individuale, così che oggi appare in modo evidente, e talvolta drammatico, che l’uomo e il mondo hanno bisogno di Dio – del vero Dio! – altrimenti restano privi di speranza. La scienza contribuisce molto al bene dell’umanità, - senza dubbio - ma non è in grado di redimerla. L’uomo viene redento dall’amore, che rende buona e bella la vita personale e sociale. Per questo la grande speranza, quella piena e definitiva, è garantita da Dio, dal Dio che è l’amore, che in Gesù ci ha visitati e ci ha donato la vita, e in Lui tornerà alla fine dei tempi. E’ in Cristo che speriamo, è Lui che attendiamo!
La scienza si può anche vedere come una lampada che illumina i passi dell’uomo lungo la strada del progresso. È quanto afferma Paolo VI all’Angelus del 28 novembre 1971 ricordando che la ragione non può svelare integralmente il mistero del mondo:
Il grande panorama dei secoli, la storia, ci si apre davanti. Ha un senso questa vicenda immensa? sì, l’uomo cammina e progredisce; ma è sempre in via di ricerca; e questa, ancor più che una conquista, è un aumento di desideri e di bisogni, è uno spazio più vasto scavato nel cuore dell’uomo, reso più avido e più affamato d’una vita piena e d’una verità sicura. La scienza, lampada dell’universo, denuncia un mistero nella notte circostante, sempre più profonda e più tormentosa; è il mistero del mondo. Ed ecco che noi, al lume della scienza e della fede, sappiamo il disegno del tempo e della storia; noi abbiamo la chiave che ci apre il senso delle cose e, fra tutte, quelle della nostra vita.
Nel radiomessaggio natalizio del 22 dicembre del 1960 Giovanni XXIII sottolinea che la “conoscenza della verità rappresenta una responsabilità” per una autentica “cooperazione al disegno del Creatore”:
Ma ciò che è più importante a scorgersi e a ritenersi è che, da parte dell'uomo, la attitudine alla conoscenza della verità rappresenta una responsabilità sacra e ben grave di cooperazione al disegno del Creatore, del Redentore, del Glorificatore. (...) Gesù offrì alla imitazione degli uomini trent'anni di silenzio perché imparassero a contemplare in lui la verità; e tre anni di incessante e suadente magistero, perché ne attingessero esempio e direzione di vita. Basta il Libro Divino a riempirci e ad esaltarci di questa dottrina. L'unione con Cristo, come egli si proclamò Dominus et Magister, è perciò il trionfo della verità, la scienza delle scienze, la dottrina delle dottrine.
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