Il 2024 raccontato in 12 immagini
Vatican News
GENNAIO
Dopo il cessate-il-fuoco di fine novembre — l’unico finora raggiunto — la guerra riprende e il 23 gennaio 2024 le truppe delle forze di difesa israeliane (Idf) avviano l’assedio di Khan Yunis, nel sud della Striscia. L’accerchiamento di Khan Yunis segna l’inizio della battaglia più dura dall’inizio della guerra. La città, considerata uno degli avamposti dei miliziani di Hamas a Gaza, “cade” in mano israeliana ai primi di febbraio. Il 2 di febbraio inizia l’avanzata anche su Rafah, dalla quale vengono evacuati — su ordine dell’esercito israeliano — migliaia di civili. Il 7 maggio, poi, parte una vera operazione di terra contro la stessa città, situata al confine con l'Egitto, e Israele prende il controllo della parte palestinese del valico omonimo. I profughi, precedentemente fuggiti dal nord, si trovano ammassati nella parte meridionale assieme a quelli che scappano da Khan Yunis e Rafah, accrescendo la già drammatica situazione umanitaria.
FEBBRAIO
Il 16 febbraio Alexej Navalny, il più noto oppositore del presidente russo Vladimir Putin, muore nella colonia penale Ik3, a Charp, regione remota della Siberia, a oltre 2.000 chilometri da Mosca. Navalny, a capo del partito Russia del Futuro e presidente della Coalizione Democratica, viene colpito ufficialmente da una “sindrome da morte improvvisa”, dopo aver subito svariate condanne, ritenute di natura politica dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, da organizzazioni internazionali per i diritti umani, dai leader dei Paesi occidentali e da molti media internazionali. È stato sepolto il primo marzo 2024 nel cimitero di Borisovskoe, a Mosca. La morte di Navalny arriva mentre la stremata popolazione ucraina affronta il secondo, duro inverno di guerra da quando le truppe russe hanno invaso militarmente il Paese. Oltre il 50% della capacità di produzione elettrica dell’Ucraina è stata distrutta dai mirati attacchi dell’esercito e dell’aviazione di Mosca, con le autorità locali costrette a diffusi e prolungati blackout.
MARZO
Anche gli ospedali sono ripetutamente attaccati e saccheggiati dalle bande armate che da mesi tengono sotto scacco Haiti. Una violenza dilagante e fuori controllo che impedisce alla popolazione di avere accesso ai beni di prima necessità e che ha fatto precipitare il Paese caraibico nel caos, in un contesto di instabilità politica prolungata e di precarietà della vita quotidiana. Le gang malavitose, ormai “padroni” della capitale, Port-au-Prince, e di diverse zone di Haiti, si ergono come controllori dei principali centri ospedalieri, decidendo chi deve avere accesso ad esso, quando e in quale condizione. Sono loro che decidono chi può e chi non può accedere alle cure, e a pagarne le conseguenze sono i più deboli e indifesi. Preso ripetutamente di mira anche l’Ospedale Saint Damien, il più grande centro pediatrico dei Caraibi e punto di riferimento per tutta Haiti. Nonostante il disprezzo mostrato nei loro confronti da questi criminali sena scrupoli, il personale medico e infermieristico lotta quotidianamente per salvare più vite possibili.
APRILE
È trascorso un anno dall’inizio dei combattimenti tra i due gruppi di rappresentanti del Consiglio di sovranità di transizione del Sudan: da una parte l’esercito di Khartoum e dall’altra le Rapid Support Forces (Rsf), un potente gruppo paramilitare composto principalmente da milizie janjawid. Una violenta guerra fratricida che non accenna a fermarsi e che ha già causato la peggiore crisi umanitaria attualmente in corso nel mondo. Un sanguinoso conflitto che ha provocato migliaia di vittime e costretto milioni di persone alla fuga. La battaglia è iniziata il 15 aprile del 2023, dopo che le forze della Rsf hanno conquistato l’aeroporto internazionale della capitale, Khartoum, diverse basi militari e il palazzo presidenziale. Nonostante ripetuti tentativi di mediare una tregua, gli scontri a fuoco si sono fatti sempre più intensi, colpendo la popolazione inerme. Il coinvolgimento di civili è una costante nel conflitto, poiché molti dei combattimenti più intensi si sono svolti in aree fortemente popolate.
MAGGIO
Il 24 maggio, una gigantesca frana ha investito in Papua Nuova Guinea la remota provincia di Enga, a circa 600 chilometri a nord-ovest della capitale Port Moresby, seppellendo almeno sei villaggi e provocando più di mille morti. Danneggiata un’area di oltre 200 chilometri quadrati, con intere famiglie rimaste senza casa. Spazzato letteralmente via il villaggio di Yambali, a circa due ore di macchina dal capoluogo provinciale di Enga, Wabag. La frana è stata favorita dalle forti piogge che hanno colpito la regione nelle ultime settimane. Un disastro senza precedenti. Un abitante di un villaggio vicino ha detto che quando è arrivato sul luogo della tragedia «non c’era più nulla», solo rocce e terra. La Papua Nuova Guinea, nazione in via di sviluppo nel sud-ovest del Pacifico, composta per lo più da agricoltori, ha uno dei climi più umidi del mondo, con forti piogge che si abbattono regolarmente sugli altopiani. Gli scienziati sostengono però che il rischio di frane sia aggravato dalla crisi climatica. Due mesi prima, almeno ventitré persone erano morte in una frana in una provincia vicina.
GIUGNO
Il Myanmar, dilaniato dalla guerra civile tra giunta militare al potere e gruppi ribelli, è il luogo più violento del mondo. A certificare questa drammatica realtà per il Paese asiatico sono i dati pubblicati dall’Armed Conflict Location and Event Data Project (Acled), organizzazione internazionale senza scopo di lucro, indipendente, che raccoglie, classifica e analizza dati sui conflitti in tutti i paesi e territori del mondo. Il conflitto civile, iniziato nel febbraio 2021 quando l’esercito ha rovesciato il governo democraticamente eletto, secondo l’Acled ha causato la morte di oltre 50.000 persone, tra cui almeno 8.000 civili, e ha causato lo sfollamento di quasi 2,5 milioni di persone. L’instabilità si è ulteriormente aggravata nel corso del 2024 quando i vari gruppi ribelli hanno unito le forze lanciando un’offensiva contro la giunta al potere. Il fronte dell’opposizione ha ottenuto successi significativi nelle aree di, confine, sia a ovest con il Bangladesh che a nord- est con la Cina, mentre il Myanmar centrale e le maggiori città restano roccaforte dei militari del regime.
LUGLIO
Una barca da pesca si capovolge in mare e affonda, quasi 90 migranti perdono drammaticamente la vita. È un tragico copione che si ripete, stavolta non in quel Mediterraneo «cimitero» di esistenze e speranze di cui troppo spesso su queste pagine — e riprendendo le parole del Papa — abbiamo dato conto, ma nell’Atlantico, lungo le coste della Mauritania. La stampa di Nouakchott, a inizio luglio, riferisce che la Guardia costiera nazionale ha ricuperato i corpi di 89 persone dopo il naufragio di un peschereccio rovesciatosi nell’Oceano, a 4 km dalla città di Ndiago, nella Mauritania sud-occidentale, al confine col Senegal. Tratte in salvo 9 persone, tra cui una bambina di 5 anni, ma il bilancio delle vittime è destinato ad aumentare ed a rimanere imprecisato in quanto decine di dispersi non verranno mai ritrovati. Nel corso del 2024 è stato registrato un drastico aumento dei tentativi di sbarco alle isole Canarie, con numerose imbarcazioni che hanno lasciato le coste dell’Africa occidentale risalendo la pericolosa “rotta Atlantica” delle migrazioni.
AGOSTO
Il mondo segua «l’esempio delle squadre di rifugiati in gara, che promuovono la coesistenza pacifica e il rispetto reciproco». L’esortazione è quella di Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, in apertura dei Giochi olimpici di Parigi 2024 (dal 26 luglio all’11 agosto). «Lo sport è un simbolo di speranza e di pace», ha dichiarato Grandi, definendo «la squadra dei rifugiati un faro per le persone di tutto il mondo. Questi atleti dimostrano cosa si può ottenere quando il talento viene riconosciuto e alimentato, e quando le persone hanno l’opportunità di allenarsi e competere con i migliori». Ai Giochi di Parigi hanno partecipato 37 atleti rifugiati, la squadra più numerosa da quando sono state istituite le squadre di rifugiati del Cio alle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016. Una fonte di ispirazione e di speranza per il mondo e per i 122 milioni di persone costrette alla fuga da conflitti, violenze e cambiamento climatico.
SETTEMBRE
Dopo mesi di pesanti bombardamenti israeliani per “sradicare” la presenza dei miliziani di Hezbollah nel sud del Libano, da dove sparano costantemente missili contro l’Alta Galilea, il 17 settembre si verifica l’esplosione simultanea di migliaia di cercapersone fra le mani di esponenti dell’organizzazione libanese residenti nel Paese e in Siria: centinaia di loro vengono uccisi o feriti. L’operazione viene subito attribuita a Israele. Il giorno successivo esplodono anche i walkie-talkie. Morti e feriti si registrano non solo in Libano ma anche in diverse località di Siria e Iraq, dove sono presenti esponenti di Hezbollah. A fine mese poi Israele avvia un’azione di terra «mirata e limitata» nelle stesse zone. Anche Beirut viene colpita con frequenza, soprattutto nei sobborghi meridionali, come Dahieh, con l’uccisione sistematica di molti leader islamisti. Il 27 settembre rimane sotto il fuoco di 200 missili anche il capo dell’organizzazione, Hasan Nasrallah. Dopo giorni di bombardamenti e centinaia di migliaia di sfollati, il 26 novembre, viene trovato un accordo per il cessate-il-fuoco in Libano.
OTTOBRE
La Spagna è ferita da un drammatico evento legato al cambiamento climatico. A fine ottobre una devastante inondazione, provocata dal fenomeno meteorologico Dana (depressione isolata di alta quota), colpisce l’est del Paese, devastando la provincia di Valencia e causando almeno 229 morti. I lavori per bonificare la zona continuano per diversi mesi, ininterrottamente, con uno sforzo collettivo che unisce la cittadinanza nel dolore e nella solidarietà. Migliaia di giovani volontari, dal resto della Spagna ma anche da altri Paesi, sono accori nelle zone più devastate per aiutare a pulire il fango dalle strade, a rimuovere i mobili e gli elettrodomestici resi inutilizzabili o a distribuire provviste alle famiglie che hanno perso tutto. Oltre alla solidarietà, c’è anche la manifestazione della rabbia. Il 9 novembre, circa 130.000 persone scendono per le strade di Valencia chiedendo le dimissioni del presidente della Comunità Valenciana Carlos Mazón, accusandolo della pessima gestione delle fasi di emergenza, seguite da altri cortei di protesta in molte città della Spagna.
NOVEMBRE
Il 5 novembre il candidato repubblicano, Donald Trump, vince le elezioni presidenziali battendo la rappresentante democratica, Kamala Harris, tornando alla Casa Bianca come 47° presidente degli Usa. Trump ottiene un successo più netto e ampio di quello previsto da molti analisti e sondaggi (oltre 71 milioni i suoi voti contro poco più di 66 milioni di Harris; e 312 grandi elettori contro 226), e avrà come vice J.D. Vance. Decisivo nella vittoria il ruolo del capo del social media X, Elon Musk. Il 13 luglio, durante un comizio elettorale in Pennsylvania, Trump è rimasto lievemente ferito ad un orecchio dopo aver subito un attacco con la pistola da parte di un giovane poi ucciso dalle forze di sicurezza. Trump è il primo presidente a ricoprire due mandati non consecutivi (dopo Grover Cleveland a fine Ottocento). Harris era scesa in campo a seguito del ritiro dalla corsa da parte del presidente in carica, Joe Biden, il 21 luglio. L’insediamento di Trump alla Casa Bianca è previsto per il 20 gennaio 2025, mentre il Partito repubblicano disporrà della maggioranza anche nel nuovo Senato e nella Camera dei rappresentanti di Washington.
DICEMBRE
Rivolgimenti storici caratterizzano a fine anno la Siria, Paese martoriato da oltre 13 anni di guerra civile con milioni di profughi. Dopo che Israele, nel corso dei mesi precedenti, ha più volte colpito postazioni di Hezbollah nel Paese — anche con l’ausilio degli Usa, impegnati nella lotta contro avamposti del sedicente Stato islamico (Is) —, dal 27 novembre gruppi islamisti, salafiti-sunniti, partiti in particolare dalla roccaforte settentrionale di Idlib, e capeggiati dal movimento Ha’yat Tahrir al-Sham (Hts), del leader Abu Mohammad al-Jolani, iniziano a conquistare diverse città della Siria: Aleppo, Hama, Homs, poi Daraa nel sud. Entrano a Damasco tra il 7 e l’8 dicembre. L’esercito governativo di Bashar al-Assad praticamente non combatte. Il presidente viene deposto e fugge a Mosca. Gli alleati storici, Russia, Hezbollah e Iran (sciiti) non riescono più a sostenerlo. Dopo 54 anni finisce il potere degli Assad. La nuova leadership al potere assicura una transizione pacifica e la protezione delle minoranze, ma il futuro della nuova Siria è ancora tutto da scrivere.
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