Addio a Riccardo Bonacina, fede e ironia di un grande giornalista
Lucio Brunelli
Di Riccardo Bonacina giornalista, conduttore televisivo e fondatore di Vita, il settimanale (poi trasformato in mensile) del mondo non profit, hanno già scritto in tanti, con serietà e stima sincera. Passione per la realtà, ironia, libertà di pensiero, erano i suoi tratti umani e professionali. Il segreto della sua umanità però era l’esperienza di fede che viveva con una purezza commovente e che aveva riscoperto ed abbracciato con entusiasmo negli anni giovanili. Di questo Riccardo vorrei raccontare, ora. Lui ricordava ridendo che da studenti entrambi avevamo venduto in modo militante “Umanità nova”, il giornale degli anarchici. Una volta mi disse con fierezza che suo padre si definiva un “anarco-cattolico”. E questo spirito di indipendenza, ribelle ai conformismi, certo non l’aveva perduto nella conversione al cristianesimo. Anzi. L’ho conosciuto negli anni Ottanta, quando eravamo colleghi al settimanale “Il Sabato”.
Non eravamo solo colleghi. D’estate andavamo ogni anno in vacanza insieme, in Trentino, con gli amici della sua “Fraternità” intitolata a sant’Ambrogio: Giuseppe Frangi, il suo più grande amico con il regista teatrale Emanuele Banterle (lui ci ha lasciato nel 2011), lo scrittore Luca Doninelli, i giornalisti Paolo Biondi, Andrea Tornielli, Maurizio Crippa e diversi altri. Si scherzava, si camminava in montagna, si pregava insieme. La giornata iniziava con la recita delle lodi. Noi, laici, mai un prete alle nostre vacanze. Amici veri, con le mogli e i bambini, numerosi, che s’aggiungevano man mano al gruppo. Non ci siamo mai persi. Come fai a perdere qualcosa di così vero e bello?
Quando la scorsa estate Riccardo apprese che il tumore era tornato e stavolta non c’erano molto speranze, gli scrissi il mio dolore. Una notizia che ci prese tutti impreparati. Lui rispose: “Eh sì, non me l’aspettavo. Ma è un momento della vita e perciò un’opportunità per andare più a fondo del mistero che ogni giorno, davvero ogni giorno, ci fa. Con le mie mani non posso regalarmi tempo, posso però regalare vita al tempo”. La moglie di Riccardo si chiama Nicoletta. Una donna straordinaria, piena di vitalità e sana allegria. Si sono voluti bene sempre, in modo mirabile. Commentava: “Come possiamo recriminare con Dio? Siamo dei privilegiati, Lui ci ha regalato una vita stupenda”.
L’inizio delle cure gli rese impossibile partecipare alla grande festa milanese per il trentennale di Vita, la sua amatissima creatura. Riuscì a inviare un messaggio video però e a scrivere un bellissimo articolo, per il Corriere della sera. Mi complimentai con lui. Così rispose: “Con Vita non ho fatto altro che fare una piccola eco ai doni che ho ricevuto, in particolare con don Giussani e Giovanni Testori”.
Nelle ultime settimane Riccardo faceva avanti e indietro nell’ospedale. Agli amici della Fraternità, pochi giorni fa, ha raccontato con molta semplicità dell’amicizia che era nata con gli altri pazienti della sua stanza. Lo vedevano ricevere la comunione tutti i giorni, dal cappellano della struttura sanitaria. E allora, anche loro, che non mettevano piede in chiesa da una vita, avevano voluto imitarlo. Non lo raccontava per sentirsi dire “bravo” ma per la gioia che gli procuravano queste nuove amicizie, erano un segno che il buon Dio agiva, anche in quel luogo in apparenza privo di speranza. Era contento. In pace.
Giovedì scorso gli ho inviato un vecchio filmino ritrovato a casa mia, ricordo di una vacanza comune in montagna, all’inizio degli anni Duemila. Ero riuscito a trasformarlo in un file digitale. Mi ringraziò, emozionato: “che regalo!”, scrisse subito. Replicai che il vero regalo per la mia vita era stata l’amicizia sua e degli altri della Fraternità. Lui commentò: “Siamo regalo gli uni agli altri”. Proprio così.
Grazie Ric.
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