Il messaggio di speranza del giudice Livatino nelle carceri siciliane
Roberta Barbi - Città del Vaticano
I primi pacchi stanno partendo in direzione di tutti gli istituti di pena di quella Sicilia per cui il Beato Livatino ha combattuto ed è morto, ucciso in odium fidei il 21 settembre 1990, ma si spera che questa iniziativa possa presto essere estesa in tutta Italia, perché tutti i detenuti hanno bisogno della speranza cui è dedicato il Giubileo 2025. Dentro i pacchi ci sono le biografie “autorizzate” come quella di Rosario Mistretta L’uomo, il giudice, il credente, o copie del docufilm di Salvatore Presti Luce verticale. Rosario Livatino, il martirio, ma anche le relazioni scritte di suo pugno e oggi pubblicate dall’editore Salvatore Sciacca e perfino alcuni calendari che riportano le memorie liturgiche di Santi e Beati siciliani: “Vogliamo ringraziare innanzitutto il Dap (Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria nda) per la collaborazione - spiega ai media vaticani Giuseppe Palilla, presidente dell’associazione “Amici del giudice Rosario Angelo Livatino” – in particolare sono importanti le relazioni del Beato, sia quella su fede e diritto che riporta il suo pensiero religioso e la sua conoscenza del diritto canonico, sia quella sul ruolo del giudice nella società che cambia, che sembra scritta oggi”.
Il giudice: sempre al di sopra delle parti
L’obiettivo di questa iniziativa promossa dall’associazione nata nel 1993 su iniziativa di un’ex insegnante del Beato Livatino, la prof.ssa Ida Abate e da un gruppo di ex compagni di liceo e amici, è naturalmente far conoscere la figura del magistrato martire in tutta l’isola, specie ai giovani. “Rosario aveva ben chiaro quale fosse il ruolo del giudice che doveva stare sempre al di sopra della parti, ma non solo esserlo, sembrarlo anche – spiega Palilla – questo nella sua vita è chiaro sin dall’inizio, da quando nel 1978 passa alla Procura di Agrigento e poi nel 1989 al Tribunale come giudice a latere”. Il presidente ricorda come fosse chiamato “l’uomo dalle pendenze zero”, ma anche “l’uomo in camicia, giacca e cravatta”, inappuntabile anche nell’aspetto, tanto che è proprio la sua camicia insanguinata il giorno del martirio a essere venerata come reliquia e portata in un particolare tour tra le carceri italiane.
Il ricordo personale dell’amico
Ma Giuseppe, prima ancora di essere il presidente dell’associazione è innanzitutto un amico del Beato Livatino, del quale ci offre il suo ricordo personale: “Di Rosario dicevano che era un secchione, ma non è vero, era un amico che rinunciava volentieri alla sua ricreazione per aiutare noi compagni di classe quando dovevamo essere interrogati – ricorda – poi quando dovevamo preparare l’esame di maturità ci vedevamo da mia nonna e studiavamo in terrazza. Anche le massaie, che facevano le faccende con la radio accesa tutto il giorno, la spegnevano per ascoltare Rosario che spiegava le lezioni…”. Anche dopo gli studi non si sono mai persi di vista: “Quando ci ritrovavamo a cena chiedeva sempre di tutti i compagni di scuola, anche quelli che non vedevamo più, era attento al prossimo e aveva una vera e propria cultura dell’uomo”.
Un’eredità di fede e speranza
Una cultura dell’uomo che il giudice Beato ha perseguito soprattutto nel lavoro che viveva come una vera e propria missione, quella di amministrare la giustizia “con il Codice in una mano e il Vangelo nell’altra”: “Ci lascia un’eredità spirituale enorme – conclude Palilla – come dice San Matteo nel Vangelo delle Beatitudini, anche lui ha sofferto per causa della giustizia. Era un servitore dello Stato, ma con umanità: cercava sempre di capire chi aveva davanti nel giudicare e quando emetteva una sentenza cercava che fosse il più possibile giusta, credeva molto nel valore di riscatto e riabilitazione della pena”.
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