Hossam Shabat, il giovane reporter ucciso a Gaza
Roberto Cetera - Città del Vaticano
«Pensavo che fosse finita e che finalmente avrei potuto riposarmi, ma il genocidio è tornato di colpo, e mi trovo di nuovo sulla linea del fronte», scriveva tre giorni fa Hossam mostrandosi mentre indossava di nuovo elmetto e giubbotto antiproiettile blu con la scritta “Press”. Hossam Shabat, 23 anni, è stato ucciso ieri mattina mentre era in macchina a Gaza nord documentando i bombardamenti della notte precedente.
Raccontava la guerra a Gaza
Hossam era un giovane giornalista che inviava i suoi articoli e video all’emittente al-Jazeera. Uno di quei giovani che si sono trovati a fare giornalismo con la guerra, dentro la guerra. Con la separazione imposta al corridoio di Netzarim e lo sfollamento verso il sud della Striscia, i pochi media rimasti a riferire della guerra sul campo, si sono trovati privi di corrispondenti nel Nord e a Gaza city. Così per i giovani come Hossam la tragedia del ritorno della guerra si è trasformata in un’ opportunità per far vedere le loro capacità e il loro coraggio. Sperando che questi sarebbero potuti essere ricompensati con una carriera nel giornalismo alla fine della guerra. Hossam non si risparmiava, basta dare un’occhiata ai suoi profili Instagram, Facebook ed X. Il suo ultimo servizio di poche ore prima è la copertura dell’orribile bombardamento israeliano dell’ospedale Nasser a Khan Younis. Fa un pò impressione vederlo in cima ai suoi post, che poi improvvisamente si interrompono.
200 i gioralisti uccisi
Poche ore prima era stato ucciso un altro giovane giornalista Mohammad Mansour, insieme alla sua giovane moglie . Dall’inizio del mese di marzo sono già sette i giornalisti uccisi a Gaza, ma dall’inizio della guerra sono ormai più di 200. Una strage. Passati dal dare notizie, ad essere loro stessi notizie. Per loro non ci sarà giustizia, nessuna inchiesta individuerà i colpevoli del loro assassinio. Come se — pur fosse vero nella giostra di bugie che ruota intorno a questa guerra — sia giustificabile ammazzare un giornalista solo perché palestinese. Come non c’è stata giustizia per nessun giornalista ammazzato prima. Come non c’è stata ancora oggi giustizia per Shireen Abu Akleh, la popolare giornalista cristiana, palestinese naturalizzata americana, uccisa con altissima probabilità dai soldati israeliani tre anni fa a Jenin.
L'unica informazione rimasta
Ma c’è un’ingiustizia più grande che grava sul sacrificio di questi giovani giornalisti. Da un anno e mezzo nelle redazioni nel mondo noi lavoriamo sulle notizie, le foto e i video che questi giovani ci fanno arrivare attraverso i social. Perché ai giornalisti occidentali Israele non consente di entrare a Gaza. Se in questi 18 mesi si è potuto conoscere in Occidente quanto accade a Gaza, lo dobbiamo soltanto a loro. E in qualche modo questo accadeva anche prima della guerra. I media internazionali sono in debito con questi giornalisti. Ma è un debito che non viene ripagato. Raramente un trafiletto riferisce della loro morte. Può darsi che le loro parole, i loro commenti, avessero un carattere divisivo, che i loro pezzi non fossero propriamente degli inni alla pace, ma è anche vero che la pace non può prescindere dal racconto dei fatti, dalla giustizia e dalla verità.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui