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Ribelli del M23 nella Repubblica Democratica del Congo Ribelli del M23 nella Repubblica Democratica del Congo

RD Congo, 400 mila bambini senza assistenza medica e istruzione

L’aggravamento del conflitto nella provincia di Kivu Sud ha costretto più di 850 mila persone ad abbandonare le proprie case. Molti vivono in condizioni precarie, rifugiati in scuole o chiese, con accesso limitato ad acqua pulita e servizi igienico sanitari. “Urgente la cessazione delle ostilità: proteggere i più piccoli, nel rispetto del diritto umano internazionale, è fondamentale”, afferma Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia

Gianmarco Murroni - Città del Vaticano

Quasi un milione di persone è costretto a lasciare le proprie case a causa di un conflitto che, da nord a sud, sta devastando la Repubblica Democratica del Congo. “Fino a oggi eravamo abituati a parlare della Repubblica Democratica del Congo riferendoci al Nord del Kivu e abbiamo assistito spesso alla narrazione degli scontri tra le truppe filo-ruandesi e quelle congolesi. In realtà la recrudescenza di questo conflitto si è estesa al Kivu Sud, nella parte orientale”. A parlare è Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, da anni impegnata in attività di supporto umanitario nel Paese afircano. “Quello che sconvolge è il numero enorme di persone costrette a lasciare le proprie case - spiega Iacomini - circa 400 mila sono solo bambini, ma soprattutto colpiscono le condizioni in cui questi si trovano: molti sono rifugiati in scuole, altri in chiese o addirittura all’aperto. Non hanno accesso ad acqua pulita, a servizi igienico sanitari, ad assistenza medica e all’istruzione”.

Assenza di sanità e istruzione

Il conflitto in corso ha portato a un aumento delle violenze contro i bambini: da gennaio c’è stato un aumento del 150% rispetto a dicembre “Parliamo di violenze sessuali, uccisioni, mutilazioni, fino ad arrivare all’uso dei bambini da parte dei gruppi armati e al reclutamento”. In questo contesto Iacomini sottolinea la tragica situazione che riguarda il comparto sanitario: “Gli ospedali sono affollati, c’è carenza di medicinali, 15 strutture sanitarie sono state distrutte”. E a preoccupare è anche la diffusione di malattie come il colera e il morbillo: “Ci sono stati 370 casi di colera da gennaio, 150 solo a febbraio, e si rischia una diffusione ancora più grande tra gli sfollati”. Poi c’è il tema dell’istruzione: “Lavoriamo per riportare i bambini a scuola, ma in questa provincia sono state chiuse mille scuole, con l’interruzione dell’istruzione per 300 mila studenti. A Bukavu le scuole sono state trasformate in rifugi per famiglie sfollate, di conseguenze non ci sono soluzioni alternative né da un punto di vista umanitario né da un punto di vista scolastico. Inoltre, ci sono tanti bambini non accompagnati che hanno perso la mamma o il papà o entrambi, siamo riusciti ad aiutare circa il 40% di quelli che incontriamo con dei centri di ascolto operativi dove diamo servizi di supporto. Ma c’è ancora tanto da fare”.

Aiuti umanitari

Una riflessione merita anche l’accesso all’acqua potabile, che contribuisce alla nascita di epidemie e il loro sviluppo: “Con nuove stazioni di depurazione abbiamo portato circa 180 mila litri di acqua pulita al giorno, ma è necessario che le parti in conflitto cessino immediatamente le ostilità. Proteggere i bambini, nel rispetto del diritto umano internazionale, è fondamentale”. Le recenti decisioni del governo Usa di congelare i fondi UsAids destinati all’assistenza umanitaria ha complicato ulteriormente il lavoro degli operatori in tante parti del mondo, ma secondo Iacomini “la carenza dei fondi non nasce oggi: gran parte di questi programmi internazionali sono sottofinanziati, non raggiungono i fondi sufficienti per poter fare tutte le attività che occorrono. Così diventa difficile accedere con i nostri operatori nelle zone critiche: senza un accesso umanitario rapido e sicuro non riusciamo a raggiungere le zone che hanno più bisogno. Per questo motivo facciamo appello alla comunità internazionale, ma soprattutto alle parti in conflitto, per aiutarci a portare il maggior numero di aiuti possibile”.

Possibile tregua

Nelle ultime settimane si è parlato di una possibile tregua nella regione, ma la situazione rimane molto fragile. “I ribelli avevano annunciato nei primi giorni di febbraio un cessate il fuoco, ma le persone hanno continuato a morire. C’è bisogno sicuramente di un impegno della comunità africana, è fondamentale, ma altrettanto fondamentale è l’impegno delle potenze mondiale che in questo Paese sono presenti. Mi riferisco alla Cina, agli Usa, alla Russia, all’Europa, che in qualche modo, insieme alle potenze regionali come Ruanda e Burundi, possono svolgere un ruolo fondamentale. Quella che si prospetta è una tregua fragile, anche perché i numeri di questo Paese sono enormi: parliamo di una nazione molto importante dal punto di vista geostrategico e delle risorse. È chiaro che serva un lavoro a 360 gradi, ma è difficile che da sola la comunità africana riesca a trovare una soluzione”.

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