Sofia Gubaidulina, musica e fede nello spartito di una vita
Pierluigi Morelli - Città del Vaticano
Una musicista in ricerca. Di un linguaggio o soltanto di un timbro. Della ragione e insieme della spiritualità. Questa era Sofia Gubaidulina, la compositrice russa 93.enne di origine Tàtara scomparsa il 13 marzo scorso in Germania, dove risiedeva da tempo.
Lascia in eredità un catalogo ricco e significativo che mostra una delle personalità che resteranno nella storia della musica a cavallo tra Novecento e il ventunesimo secolo. La ricorda Valerij Voskobojnikov, pianista, storico collaboratore dei Programmi Musicali della Radio Vaticana e suo compagno di studi a Mosca.
Quando hai conosciuto Sofia Gubaidulina e quali furono i tuoi rapporti con lei dal punto di vista umano e musicale?
È stata una musicista geniale, non temo di definirla così. Certamente Sofia non era una compositrice, intesa in modo ordinario, lo era con la C maiuscola e con un carattere straordinariamente forte in una donna fragile. Per me Sognička è stata una vecchia conoscenza, era più grande di me di 8 anni, l'ho conosciuta quando ero studente e lei era già impegnata nel dottorato al conservatorio di Mosca.
Mi ricordo di quando, forse come esame del diploma, tappa per lei importante, ha eseguito con l'orchestra in una sala grande il proprio concerto per pianoforte e orchestra: non si sa assolutamente che fine abbia fatto questa musica, però è un fatto che Sofia da un certo punto in avanti ha cominciato a rinunciare alle proprie opere risalenti a un dato periodo, considerandole troppo accademiche, troppo immature. Questo è stato il mio primo incontro con lei. Devo dire che io negli anni del conservatorio ero più vicino a Edison-Denisov, che era amico e collega di Sofia e che insieme ad Alfred Schnittke costituivano come noto un trio di compositori avversi al regime socialista essendo, allo stesso tempo, tra i compositori più acclamati, più interessanti.
Grazie a Edison-Denisov e Schnittke ho conosciuto Sofia Gubaidulina, ci siamo incontrati in varie occasioni, per esempio quando si ascoltava la musica dei dischi, che era ancora una novità per noi, nel periodo in cui nel conservatorio c'era anche il nostro amico in comune, il pianista parigino Gérard Fremy, che portava dei dischi da casa sua e ce li faceva ascoltare. Dopo il mio matrimonio con la pianista italiana Marisa Tanzini nel ’65 sono partito, ma prima sono passato da casa di Sofia Gubaidulina che mi ha consegnato alcuni dei suoi spartiti e anche qualcosa dei suoi amici. Lei, che era sposata con un letterato, mi ha anche prestato un libro all'epoca molto pericoloso di leggere intitolato “La Nuova Classe”. Era in russo ma pubblicato in occidente, l’autore era Milan Djilas, un noto politico iugoslavo. Mi ricordo di questo fatto perché Sofia, a parte la musica e la sua figura notevole già nell'avanguardia nell’Unione Sovietica, aveva idee abbastanza progressiste, prova ne era appunto il fatto che lei e suo marito leggessero in casa questo tipo di letteratura all’epoca assolutamente proibita.
Più avanti in Italia ci siamo visti varie volte. È accaduto anche di recente, quando alla Biennale ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera. L’ultimissima volta è stato a Roma, quando nella Sala Petrassi del Parco della Musica di Roma, con la partecipazione di Mario Brunello, il 6 aprile 2013 le venne dedicata una serata con standing ovation finale.
Quanto è presente un sentimento spirituale o religioso nella sua opera?
Sofia ha detto diverse cose che mi è capitato di riportare nei miei scritti, tra cui due aspetti fra loro molto legati. Sofia era un po' di tendenza controcorrente. Per dire, io mi sono fatto battezzare attorno ai vent'anni, a Mosca. Anche Sofia era senz'altro battezzata, ha studiato molto seriamente, era una maestra ortodossa e alla fine è diventata autrice di musiche scritte per ambiti ecclesiali. Quello che volevo sottolineare, che ho trovato in una sua intervista, è che lei sosteneva la necessità di essere persone libere, indipendentemente dal fatto che ciò sia conveniente oppure no. C’è un libro a cura di Enzo Rostagno in cui si parla molto delle strade che Sofia ha percorso per arrivare alla fede. Parlando con Valentina Chalopova della musica e della religione, in particolare dell'opera che si chiama “Dell'amore e dell'odio”, Chalopova dice che questa opera continua il tema di tutta la sua vita, quello della spiritualità, quindi la spiritualità oltre che la fede religiosa di Sofia Gubaidulina. Qui Sofia Gubaidulina usa i testi spirituali dei Salmi di David fino ad arrivare alle preghiere dei tempi successivi, cioè abbraccia il pensiero umano nel corso dei millenni e medita sull'esistenza nella storia, del bene e del male. È un modo cui poter cambiare qualcosa nella sostanza del mondo? Lei stessa risponde scrivendo che non è possibile e tuttavia vede il proprio compito nel porre l'umanità davanti al problema dell'esistenza del bene e del male. Ecco, credo che ciò sia legato anche all’altro pensiero di Sofia, ovvero la necessità di essere persone libere, dove la libertà è la possibilità di realizzare appieno la propria essenza, di ascoltare se stessi. Come un violinista o un pianista per avere un buon suono deve avere le mani libere, così il compositore oppure lo scrittore deve avere l'anima perfettamente libera. Secondo me queste due cose insieme, la fede e la necessità di essere liberi, rappresentano appieno la figura di Sofia Gubaidulina come persona e come musicista.
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