Turchia, migliaia in piazza contro l’arresto di Imamoglu
Roberto Paglialonga - Città del Vaticano
Quanto sta avvenendo in Turchia in queste ore riporta alla luce più di un’ombra non solo sulla gestione interna del potere, ma anche sul posizionamento internazionale del Paese, in un delicato momento storico che lo vede in un ruolo di possibile protagonista sia sul fronte della crisi ucraina che di quella mediorientale.
Manifestazioni contro l'arresto di Imamoglu
L’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, avvenuto mercoledì all’alba, ha portato migliaia di persone a protestare ieri ma anche stamane di fronte al municipio, nelle università e davanti alla sede del partito del primo cittadino, in quella che è considerata la città simbolo del legame tra Oriente e Occidente. I manifestanti, che hanno apertamente sfidato i quattro giorni di divieto di assembramenti imposti dalle autorità, hanno riempito le strade anche a Smirne e Ankara, mentre a Mugla, sulla costa egea, si sono verificati scontri con la polizia.
Le accuse di corruzione e sostegno al terrorismo
La cattura di Imamoglu, uno dei principali esponenti del Partito repubblicano (Chp), all’opposizione, e considerato il grande competitor di Recep Tayyip Erdoğan per le elezioni alla presidenza nel 2028, ha coinvolto anche un altro centinaio di persone, tra cui politici, artisti, giornalisti e attivisti. Le motivazioni addotte dalla magistratura nei suoi confronti — accuse di «corruzione» e «sostegno a un’organizzazione terroristica» (ovvero il Pkk, che però ha da poco annunciato la fine della lotta contro lo Stato) — sono apparse subito pretestuose alle organizzazioni di difesa dei diritti umani, come Human Rights Watch, e ai sostenitori di Imamoglu, che hanno parlato di «un golpe» ai suoi danni. Mentre il ministro della Giustizia, Yılmaz Tunç, ha tentato una difesa dell’indipendenza dei giudici.
L'erosione dello stato di diritto
Le dure misure prese dal governo, tra cui anche il blocco delle vie commerciali e di comunicazione di Istanbul, il pattugliamento delle strade da parte delle forze dell’ordine e le limitazioni all’accesso a web, social e varie app di messaggistica, hanno fatto scattare l’allarme sulla contrazione dello stato di diritto e una sorta di “militarizzazione” del Paese, proprio mentre il 23 marzo sono attese le primarie del Chp per la scelta del candidato da contrapporre a Erdoğan. Cioè proprio Imamoglu, che dal 2019 ha sempre sconfitto nelle tornate amministrative i candidati dell’attuale presidente.
Rapporti con l'Ue e contraccolpi economici
Rischiano così di incrinarsi i rapporti con l’Unione europea — l’Alto rappresentante per la Politica estera, Kaja Kallas, e la commissaria all’Allargamento, Marta Kos, hanno parlato di «interrogativi in merito a una consolidata tradizione democratica» (la Turchia è membro della Nato e da tempo candidata all’Ue, n.d.r.) — e il suo posizionamento geopolitico. Dei soldati turchi si è parlato nei giorni scorsi in merito alla composizione di una eventuale forza di peacekeeping da inviare in Ucraina in caso di tregua tra Kyiv e Mosca. Ma irrigidimenti politici provocano contraccolpi anche dal punto di vista economico e degli investimenti: un primo segnale è stato il minimo storico toccato dalla lira turca rispetto al dollaro, e il tonfo della Borsa nazionale che ieri ha perso 9 punti percentuali.
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