Sisma e raid, in Myanmar si aggrava la crisi umanitaria
Vatican News
Una settimana dopo il terremoto che ha sconvolto il Myanmar centrale, i contorni dell’emergenza umanitaria si aggravano, con un bilancio che supera le 3.300 vittime e i 5.000 feriti. Ancora centinaia i dispersi, mentre le squadre di soccorso nelle ultime ore hanno ricuperato altri corpi dalle rovine degli edifici crollati. Il capo delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, è arrivato ieri nel Paese del sud-est asiatico nel tentativo di stimolare gli interventi d’emergenza, nel quadro di una nazione dilaniata da una sanguinosa guerra civile tra esercito e milizie etniche, che già prima del sisma contava oltre 3 milioni di sfollati e quasi 20 milioni di persone bisognose di aiuto.
«Molti hanno perso tutto, eppure hanno continuato ad andare in aiuto dei sopravvissuti», ha detto Fletcher visitando Mandalay, una delle zone più colpite, e pubblicando sui propri canali social foto di gruppi di persone impegnate nei soccorsi con «coraggio, abilità e determinazione». Poco prima il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, aveva sollecitato ancora una volta un accesso senza ostacoli ai soccorsi.
Raid con vittime sulle aree disastrate
L’esercito birmano e diversi gruppi armati hanno dichiarato un cessate-il-fuoco fino al 22 aprile, per facilitare la risposta umanitaria, ma proprio l’Onu ha denunciato violazioni da parte delle forze armate di Naypyidaw, con decine di bombardamenti sulle aree colpite dal sisma. Secondo un bilancio fornito dalle formazioni di opposizione, i raid avrebbero causato almeno 68 morti dopo il sisma del 28 marzo.
L'appello dell'Onu
«Chiedo che si fermino tutte le operazioni militari e che ci si concentri sull’assistenza alle persone colpite dal terremoto», ha dichiarato l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk. «Spero che questa terribile tragedia possa essere un punto di svolta per il Paese verso una soluzione politica inclusiva», ha aggiunto Türk, proprio quando il capo della giunta militare andata al potere nel 2021 con un colpo di Stato, il generale Min Aung Hlaing, è tornato a Naypyidaw dopo un inedito viaggio all’estero per partecipare a un vertice regionale a Bangkok. Lì ha incontrato separatamente i leader di Thailandia, Nepal, Bhutan, Sri Lanka e India. Col primo ministro di New Delhi, Narendra Modi, secondo quanto riportato dai media statali birmani Min Aung Hlaing ha ribadito l’intenzione della giunta di tenere elezioni a fine anno, sulla cui tenuta in modo «libero ed equo» già peraltro nelle scorse settimane gli osservatori internazionali avevano espresso perplessità.
La minoranza Rohingya
In tale contesto, le autorità del Myanmar hanno autorizzato il ritorno di 180.000 dei circa 800.000 profughi della minoranza etnica musulmana Rohingya riparati negli anni scorsi in Bangladesh a causa delle ripetute violenze dei militari birmani. Dacca e Naypyidaw avevano già tentato nel 2018 e nel 2019 di rimpatriare i Rohingya ma l’operazione era fallita, anche per il timore dei profughi di essere nuovamente perseguitati una volta tornati in Myanmar. Negli ultimi mesi il negoziato si è sbloccato, con la mediazione della Thailandia.
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