Papa a udienza generale: quando arriva morte, Gesù ci prende per mano
di Giada Aquilino
Di fronte alla morte, una realtà che la nostra civiltà moderna “tende sempre più a cancellare”, dobbiamo comprendere che “per chi crede” essa è una “porta che si spalanca completamente”. Per chi dubita, invece, è uno “spiraglio di luce” che filtra da un uscio non chiuso “del tutto”. Comunque, per tutti, “sarà una grazia, quando questa luce ci illuminerà”. Così Papa Francesco all’udienza generale, dedicando ancora una volta la catechesi alla speranza cristiana e soffermandosi in particolare sul tema: “Beati i morti che muoiono nel Signore”. Parlando a braccio, invita i presenti in Piazza San Pietro e tutti noi a pensare al momento della morte.
“Ognuno di noi pensi alla propria morte e si immagini quel momento che - spiega - avverrà, quando Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: “Vieni, vieni con me, alzati”. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita. Pensate bene: Gesù stesso verrà a ognuno di noi e ci prenderà per mano, con la sua tenerezza, la sua mitezza, il suo amore. E ognuno ripeta nel suo cuore la parola di Gesù: “Alzati, vieni. Alzati, vieni. Alzati, risorgi!”.
Spesso, riflette il Pontefice, quando la morte arriva “ci troviamo impreparati, privi anche di un ‘alfabeto’ adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero, che comunque rimane”. Eppure l’uomo è nato con il culto dei morti, con tale “enigma”. Alcune civiltà, “prima della nostra”, hanno avuto il coraggio - riflette il Papa - di guardare la morte “in faccia”, un avvenimento raccontato “dai vecchi alle nuove generazioni”, come realtà ineludibile che “obbligava l’uomo a vivere per qualcosa di assoluto”. Perché “contare i propri giorni” - che scorrono via “veloci” - fa sì che il cuore divenga “saggio”. Il Papa racconta di aver ascoltato “tante volte” gli anziani dire: “La vita mi è passata come un soffio”.
“La morte - aggiunge - mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità: pura vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato ciò che era essenziale. E, al contrario, vediamo quello che di veramente buono abbiamo seminato: gli affetti per i quali ci siamo sacrificati, e che ora ci tengono la mano”.
Gesù ha illuminato il “mistero della nostra morte”, prosegue Francesco citando il turbamento di Cristo davanti alla tomba dell’amico Lazzaro: “pianse per il suo amico”. Allora pregò il Padre, “sorgente della vita”, e ordinò a Lazzaro di uscire dal sepolcro. E così avvenne. La speranza cristiana, osserva il Pontefice, “attinge” da questo atteggiamento che Gesù assume contro la morte umana: “se essa è presente nella creazione, essa è però uno sfregio che deturpa il disegno di amore di Dio, e il Salvatore vuole guarircene”.
Quindi cita il racconto evangelico di un padre, Giairo, che ha la figlia molto malata, e si rivolge con fede a Gesù perché la salvi. E, riflette Francesco, “non c’è figura più commovente di quella di un padre o di una madre con un figlio malato”. Di fronte alla morte della piccola, Gesù esorta il padre a non temere ma avere fede:
“Gesù - sottolinea - sa che quell’uomo è tentato di reagire con rabbia e disperazione, perché è morta la bambina, e gli raccomanda di custodire la piccola fiamma che è accesa nel suo cuore: fede. ‘Non temere, soltanto abbi fede’. ‘Non avere paura, continua solo a tenere accesa quella fiamma’. E poi, arrivati a casa, risveglierà la bambina dalla morte e la restituirà viva ai suoi cari”.
Gesù ci mette su questo ‘crinale’ della fede. Ogni volta che la morte viene a “strappare il tessuto della vita e degli affetti”, come a Marta, la sorella di Lazzaro che piange per la morte del fratello, Gesù è una certezza:
“Tutta la nostra esistenza - mette in evidenza - si gioca qui, tra il versante della fede e il precipizio della paura. ‘Io non sono la morte, dice Gesù, io sono la risurrezione e la vita, credi tu questo?, credi tu questo’? Noi, che oggi siamo qui in Piazza, crediamo questo? Siamo tutti piccoli e indifesi davanti al mistero della morte. Però, che grazia se in quel momento custodiamo nel cuore la fiammella della fede! Gesù ci prenderà per mano, come prese per mano la figlia di Giairo, e ripeterà ancora una volta: ‘Talità kum’, ‘Fanciulla, alzati’. Lo dirà a noi, a ciascuno di noi: ‘Rialzati, risorgi’”.
Nei saluti finali, anche in lingua neerlandese, il Papa ricorda per i pellegrini della Polonia che oggi nella loro patria si celebra la festa degli operatori sanitari, pregando per “tutti quelli che si prendono cura delle persone inferme con dedizione e spirito di sacrificio”: nel servizio che svolgono, auspica, non vengano “mai” a mancare “le forze, i buoni risultati e la gioia”. Per i fedeli italiani, il Pontefice - dopo aver salutato tra gli altri i nonni e l’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti presenti in piazza - sottolinea l’odierna festa di San Luca, evangelista e medico, esortando i giovani “a scelte coraggiose di solidarietà e tenerezza”.
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