Papa Francesco: i cristiani ridiano un'anima all'Europa
di Debora Donnini
“Il primo e forse il più grande contributo che i cristiani possono portare all’Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri di istituzioni, ma è fatta di persone”. E’ uno dei passaggi chiave dell’intenso e dettagliato discorso di Papa Francesco, rivolto ai circa 350 partecipanti alla conferenza (Re)Thinking Europe, “Ripensare l’Europa. Un contributo cristiano al futuro del progetto europeo”, riuniti nell’Aula Nuova del Sinodo. Politici, cardinali, vescovi, ambasciatori e rappresentanti di movimenti e altre denominazioni cristiane, riflettono insieme da ieri nell’incontro organizzato dalla Comece, la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea.
A loro il Papa indica la strada: le fondamenta dell’Europa sono “persona” e “comunità”, che “come cristiani vogliamo e possiamo contribuire a costruire”. I mattoni sono "dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace”. Nel suo quinto intervento sull’Europa e l’Unione Europea, Francesco ricorda che uno dei valori fondamentali portati dal cristianesimo è proprio “il senso della persona, costituita a immagine di Dio”. Concretamente, ad esempio, San Benedetto pose una concezione dell’uomo radicalmente diversa da quella della classicità greco-romana e da quella ancor più violenta delle invasioni barbariche: l’uomo, non più semplicemente un cittadino né servitore del potere di turno né tantomeno una merce di scambio destinata unicamente al lavoro. “Per Benedetto non ci sono ruoli, ci sono persone” mentre purtroppo oggi si nota come spesso “non ci sono i lavoratori, ci sono gli indicatori economici”, “non ci sono i migranti, ci sono le quote”, cioè una questione di cifre.
Avere un volto, obbliga, invece, ad una responsabilità - ricorda il Papa - e quindi i cristiani devono ricordare prima di tutto che l’Europa è fatta di persone e far riscoprire il senso di appartenenza ad una comunità, contro la tendenza a vivere in solitudine dell’Occidente, fraintendendo il concetto di libertà che viene intesa come dovere di essere soli. "Per me - afferma - è una cosa grave". I cristiani, invece, sanno che la loro identità è “innanzitutto relazionale” e la famiglia rimane il fondamentale luogo di questa scoperta. E, come “unione armonica delle differenze fra l’uomo e la donna”, è “tanto più vera e profonda quanto più e generativa, capace di aprirsi alla vita e agli altri”. Una comunità, infatti, è viva se sa accogliere le diversità, generare nuove vite, lavoro, innovazione e cultura.
Dall’Atlantico agli Urali, dal Polo Nord al Mediterraneo, l’Europa deve essere un luogo di dialogo, come lo era in un certo senso l’antica agorà, non solo spazio economico ma cuore della politica. L’invito di Francesco è, quindi, a considerare il ruolo positivo che la religione possiede nella società, come può essere il dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani in Europa. Francesco mette, infatti, in guardia da “un certo pregiudizio laicista, ancora in auge” che – dice – non riesce a percepire questo valore della religione nella sfera pubblica e preferisce relegarla solo in quella privata. Ma così si instaura “il predominio di un certo pensiero unico, assai diffuso nei consessi internazionali”, che vede “nell’affermazione di un’identità religiosa un pericolo per la propria egemonia, finendo così per favorire un’artefatta contrapposizione fra il diritto alla libertà religiosa e altri diritti fondamentali”.
Spesso, poi, nella politica alla voce del dialogo, “si sostituiscono le urla delle rivendicazioni”. In molti Paesi, così, trovano posto formazioni populiste ed estremiste. I cristiani sono, quindi, chiamati a favorire il dialogo politico e devono ridare dignità alla politica intesa come massimo servizio al bene comune. “Essere leader oggi esige studio, preparazione ed esperienza”, sintetizza il Papa mettendo l’accento anche sulla necessità di un’adeguata formazione.
L’Europa deve poi essere uno spazio inclusivo valorizzando però le differenze. In questa prospettiva i migranti sono una risorsa, più che un peso e non possono essere scartati a proprio piacimento. D’altra parte il Papa ricorda che i governanti devono gestire con prudenza la questione migratoria. Non muri, dunque, ma il processo non può essere senza regole. E da parte loro, anche i migranti devono “rispettare e assimilare la cultura” della nazione che li accoglie.
Adoperarsi per una comunità inclusiva significa edificare uno spazio di solidarietà, non un insieme di “piccoli gruppi di interesse”. Bisogna quindi avere premura per i più deboli e per il sostegno fra generazioni. “A partire dagli Anni Sessanta del secolo scorso è in atto un conflitto generazionale senza precedenti”, nota il Papa. E questo - spiega - “non solo perché in Europa si fanno pochi figli - il nostro inverno demografico - e troppi sono quelli che sono stati privati del diritto di nascere ma anche perché ci si è scoperti incapaci di consegnare ai giovani gli strumenti materiali e culturali per affrontare il futuro”. “L’Europa vive una sorta di deficit di memoria” - sintetizza Francesco - e deve riscoprire il valore del proprio passato per “arricchire il proprio presente e consegnare ai posteri un futuro di speranza”. Tanti giovani, invece, si trovano “smarriti davanti all’assenza di radici e di prospettive”, mentre l’educazione deve coinvolgere tutta la società.
L’Europa è poi chiamata ad essere sorgente di uno sviluppo integrale come lo intendeva il beato Paolo VI. “Serve lavoro e servono condizioni adeguate di lavoro”, ribadisce il Papa. Un esempio possono essere quegli imprenditori cristiani, che nel secolo scorso hanno compreso come il successo delle loro iniziative, dipendesse dall’offrire condizioni degne di lavoro: quelle iniziative sono anche l’antidoto migliore ad una “globalizzazione senz’anima”, che ha creato sacche di sfruttamento e povertà. Spetta ai governi riattivare un circolo virtuoso, che “a partire da investimenti a favore della famiglia e dell’educazione”, consenta lo sviluppo pacifico dell’intera comunità civile.
L’ultimo mattone per costruire questo edificio è il diritto alla pace. Le logiche “particolari e nazionali” rischiano, però, di vanificare i sogni coraggiosi dei Padri fondatori, ricorda Francesco. I cristiani in Europa sono, quindi, chiamati a farsi promotori di una cultura della pace e questo esige “amore alla verità", “senza la quale non possono esistere rapporti umani autentici”, e “ricerca della giustizia” senza la quale la sopraffazione diventa norma imperante. L’Europa, quindi, si impegnerà per la pace nella misura in cui “non perderà la speranza”. Bisogna quindi seguire il sogno dei Padri fondatori di un’Europa unita e concorde, “comunità di popoli desiderosi di condividere un destino di sviluppo e di pace”.
I cristiani sono chiamati a “ridare anima all’Europa”, come fece san Benedetto: non occupò spazi ma “diede vita ad un movimento contagioso e inarrestabile, che ridisegnò il volto dell’Europa perché dalla fede sgorga quella speranza lieta, capace di cambiare il mondo. E Francesco conclude benedicendo i presenti, i "nostri popoli" e anche l'Europa.
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