Myanmar-Bangladesh. Parolin: piccole Chiese semi di pace
di Alessandro Di Bussolo
Domenica sera Papa Francesco riprende il suo pellegrinaggio nel mondo, e lunedì 27 novembre raggiunge per la terza volta l’Asia, atterrando a Yangon, la capitale del Myanmar. Sarà il primo pontefice a visitare l’ex Birmania. Tre giorni dopo, giovedì 30, si sposta nel vicino Bangladesh. Un Paese a maggioranza buddista e uno quasi totalmente musulmano, nei quali i cattolici sono una piccola minoranza, ma indispensabile per una vera riconciliazione nazionale. Ne parliamo con il Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, che come sempre accompagnerà il Papa nel suo viaggio apostolico.
R. – Sì, è vero. In questi due Paesi la comunità cattolica costituisce una minoranza all’interno di maggioranze rispettivamente musulmana in Bangladesh e buddista in Myanmar. È logico che la prima attenzione, il primo interesse del Santo Padre in questo suo viaggio sarà rivolto proprio alla comunità cristiana per esprimere vicinanza, per esprimere sostegno e, nello stesso tempo, credo che il Papa incoraggerà queste comunità oltre, naturalmente, confermarle nella fede, ad essere una presenza di pace, di riconciliazione e di solidarietà all’interno della loro società, quindi a lavorare soprattutto per il bene comune, a non essere considerate estranee alla realtà dei loro Paesi, ma finalmente integrate e capaci di dare un contributo alla crescita civile e pacifica di questi Paesi.
D. – In Asia sono tornati a soffiare, purtroppo, venti di guerra con le tensioni tra Corea del Nord e Stati Uniti. Possiamo aspettarci da Papa Francesco un nuovo invito a cercare sempre la strada del dialogo?
R. - Credo proprio di sì. Il Santo Padre varie volte ha già invitato a cercare la strada del dialogo per risolvere le controversie esistenti. Credo che il fatto di trovarsi in Asia, molto più vicino a questa area di crisi che attualmente inquieta e preoccupa tutto il mondo, sarà un’occasione per rinnovare questo appello. Il Santo Padre è sempre disposto ad offrire tutto il suo aiuto e quello della Santa Sede per tentare di affrontare e risolvere questi problemi attraverso il dialogo, il negoziato e l’incontro. Credo che ancora una volta, in questa circostanza, rinnoverà questo appello, sapendo che al di fuori di questi mezzi non c’è possibilità di risolvere in maniera pacifica queste situazioni così preoccupanti, sapendo appunto, come già i Papi hanno ripetuto tante volte, che niente è perduto con la pace e tutto può esserlo con la guerra, soprattutto se si tratta, come nella prospettiva, di una guerra atomica.
D. - In entrambi i Paesi ci sono profughi che vivono in condizioni inumane. Il Papa chiederà ai governi e alla comunità internazionale di risolvere questo dramma umanitario?
R. - Sì, certamente. È ben noto che il Papa ha già manifestato più volte la sua attenzione nei confronti della situazione di questi profughi; basterebbe pensare all’appello pronunciato dopo il Regina Caeli, il 24 maggio del 2015. Naturalmente l’appello del Papa va sempre nella direzione, prima di tutto, di insistere sull’accoglienza dei profughi e quindi di esprimere anche apprezzamento e ringraziamento per i Paesi che si fanno carico di queste persone che fuggono dal loro Paese, che hanno bisogno di aiuto, di assistenza per la situazione di grande vulnerabilità e sofferenza in cui si trovano. Poi, il suo appello va nel senso di invitare la comunità internazionale ad offrire tutta l’assistenza umanitaria possibile di fronte a questo dramma. Credo poi, alla fine, il suo appello sia un invito ad una soluzione duratura di questi problemi, soprattutto per quello che riguarda lo Stato di Rakhine in Myanmar e i profughi che vivono questa situazione. Una soluzione duratura che venga ricercata da parte di tutti gli attori, di tutti i protagonisti in spirito umanitario, tenendo conto anche dell’importanza per la gente, per la popolazione, di avere una nazionalità e sapendo che solamente questa soluzione duratura può offrire stabilità, pace e sviluppo a quella zona e a tutte le zone di conflitto.
D. - In Bangladesh i poveri sono più di un terzo della popolazione; soffrono anche per le alluvioni causate dai cambiamenti climatici. È quello che Francesco denuncia nella Laudato si’?
R. – Credo appunto che nella Laudato si’ il Papa metta in luce proprio il rapporto tra i cambiamenti climatici e la povertà, nel senso che sono i poveri che subiscono di più gli effetti dei cambiamenti climatici. E i Paesi più poveri sono i più esposti a questi fenomeni. Questo capita anche in Bangladesh, dove c’è questa relazione tra la povertà, il cambiamento climatico e il degrado ambientale, anche se in quest’ultimo caso credo valga la pena di insistere, o perlomeno di ricordare, che sono stati fatti dei passi notevoli, dei buoni passi in avanti sia per quanto riguarda la cura dell’ambiente, come è stato riconosciuto dallo stesso programma delle Nazioni Unite per l’ambiente sia nella lotta alla povertà. Diversi milioni di persone sono uscite dalla situazione di estrema povertà. Questo incoraggia il Paese ad andare avanti in questa direzione senza dimenticare che ci vuole anche l’aiuto della comunità internazionale, la quale non può disinteressarsi di queste situazioni ma – appunto – deve essere lì per sostenere gli sforzi in modo tale che si esca da questa situazione di povertà e nello stesso tempo e prendersi cura dell’ambiente.
D. - Il Myanmar è un Paese al 90% buddista e il Bangladesh è musulmano. Cosa proporrà il Papa negli incontri con i leader religiosi locali?
R. - Proporrà quello che ha sempre proposto nei Paesi dove sono presenti varie religioni, diversi gruppi religiosi, cioè il dialogo interreligioso come forma di incontro tra queste religioni e la collaborazione per il bene comune della società. L’idea, appunto, che le religioni possano dare un contributo notevole alla pace, allo sviluppo alla riconciliazione alla convivenza pacifica tra i popoli e all’interno dei Paesi si può realizzare se si uniscono insieme per lavorare in questo senso.
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